IL DOLORE E LA CRISI: TABÙ DEL MONDO CONTEMPORANEO......22.....11.....20

IL DOLORE E LA CRISI: TABÙ DEL MONDO CONTEMPORANEO

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IL DOLORE E LA CRISI: TABÙ DEL MONDO CONTEMPORANEO

Questo è un articolo probabilmente impopolare, forse non piacevole da leggere e molto meno informativo dei precedenti. Perché ho deciso di pubblicarlo? Perché penso che anche il dolore e la crisi debbano avere la loro dignità e il loro spazio in un mondo fondato sul mito del self made man, dell’eroe e lustrato dai social, in cui la maggioranza tende a mostrarsi in splendida forma, pronto a partire, a intraprendere avventure fuoriporta, a lavorare in un posto fantastico, sempre intraprendente, indipendente, forte e coraggioso, senza cedimenti. La verità è che questa è una grande menzogna inventata dall’uomo, un uomo evidentemente ancora troppo insicuro e immaturo per guardare in faccia e mostrare il dolore e la sofferenza, incapace di apprezzare la propria natura e ciò che gli sta intorno. Quando siamo felici, abbiamo successo o raggiungiamo traguardi, non vediamo l’ora di dirlo a tutti e condividerlo, anche gli altri si mostrano interessati e partecipi del nostro entusiasmo e ciò che facciamo di bello. Ma quando si spengono i riflettori e il sipario cala rimane l’essere umano, quella creatura fragile e limitata che ognuno di noi è, quella che non sorride sempre, quella che sta male, che si sente frustrata, senza forze, preoccupata, che a volte vorrebbe mollare o abbandonare ciò che fa. Nascondere e tenere il dolore e la sofferenza per sé è un atteggiamento incoraggiato dalle norme sociali in cui siamo vissuti e che hanno veicolato e veicolano l’immagine che abbiamo su noi, gli altri e il mondo.

Le persone che esternano la loro sofferenza sono giudicate spesso come esibizioniste, deboli, con poca dignità, poiché il dolore e le crisi in verità sono ancora un tabù e la maggioranza non è pronta né ad accoglierle, né a trasformarle, né tantomeno è interessata a farlo poiché è dispendioso in termini di energie, bisogna dedicarsi insomma e avere un interesse autentico verso l’altro. Questa società è egoista, narcisista, schizoide e schizofrenica, l’unico spazio di apertura al dolore avviene nel momento in cui diventa merce di scambio e si strumentalizza.

Viviamo in un mondo in cui chi ha una ferita emotiva o soffre viene sovente scoraggiato a mostrarla, se non addirittura schernito, invitato a mantenere il tutto nella propria sfera privata o a pensare “positivo”, a reagire. Trovo indecente, come donna, professionista e operatrice sociale, che chi è portatore di pathos psico-emotivo debba rimanere relegato nella sua sfera o assoggettare il suo sentire a pensieri positivi forzati, artificiosi e indotti da questa cultura sociale deviata. Dobbiamo invece imparare ad aprirci anche alla sofferenza, alla crisi, ai momenti down, imparare ad accettare la loro presenza, a dargli uno spazio per vivere ed essere elaborati.

ANCHE IL DOLORE È VITA E BISOGNA DARGLI SPAZIO, DARGLI RESPIRO, OSSIGENO, IL DOLORE DEVE USCIRE DALLA SUA TRINCEA PER ESSERE TRASFORMATO.

Quando si prova tristezza, frustrazione, senso di impotenza, arrendevolezza, non c’è niente che non va. Se si sta attraversando una crisi per qualche avvenimento passato o presente, è tutto ok. Quello che voglio dire a chi probabilmente starà leggendo queste righe è che anche le emozioni dalle tonalità più oscure sono ok, va tutto bene. Il provare quelle emozioni, o il non provarle per niente, non significa che la totalità di noi stessi diventa quell’emozione o quel vuoto, anche se è esattamente questo che si percepisce con più chiarezza, ma significa che qualcosa dentro di noi spinge per essere considerato, visto ed elaborato. Anche se fa star male, anche se a volte è difficile persino alzarsi dal letto e compiere i gesti fondamentali del quotidiano, anche se non si ha voglia di vedere nessuno, non bisogna mai pensare che questo equivalga alla totalità di sé stessi. Ciascuno di noi è molto più di ciò che sente, pensa ed esperisce, bisogna aver fiducia in questo.
Il presente scritto non vuole essere un ode al dolore né un incoraggiamento alla lamentela, ma l’obiettivo è quello di portare alla luce e riabilitare alla vita anche il dolore, parte integrante del percorso di ognuno di noi.

Se qualcosa vi fa star male, sentite di esser vuoti e/o bloccati, date voce a questo restando anche in silenzio se necessario, fermatevi e non fate nulla, riposatevi, prendetevi cura di voi, scrivete ciò che sentite senza pensarci troppo su, dipingete, suonate, parlate anche con voi stessi, guardatevi allo specchio, sfogliate un album di fotografie, date sfogo alle lacrime, disfatevi di qualcosa, aiutate o ascoltate il prossimo, cercate voi stessi, datevi tempo, datevi l’opportunità di ritrovare e modificate il vostro quadro per riadattare la vostra nuova cornice. L’attraversamento di un dolore, di un periodo di sofferenza, di una crisi, richiede tempo e un notevole dispendio di energie psico-fisiche, un cambiamento dell’immagine di sé come essere nel mondo. La crisi e il dolore sono dei processi più o meno lunghi e complessi, dei processi che hanno il diritto di stare sul piano di esistenza concreta, di essere verbalizzati, rappresentati e condivisi. Ognuno di noi, quando vive una crisi, è chiamato a trovare dei canali e dei modi per renderla visibile, in modo da vedere e conoscere il volto della propria sofferenza.

A volte siamo talmente ossessionati dal trovare le soluzioni che abbiamo come perso la capacità di soffermarci a guardare il problema con calma, dedizione e attenzione. La crisi sconvolge i progetti, i piani, i nostri ideali e implica l’atterraggio, l’attesa. Per essere affrontata richiede un atteggiamento diametralmente opposto a quello perpetrato dall’uomo medio del mondo contemporaneo, individualista, sempre indaffarato, sempre di corsa, incapace di godere veramente del presente e di costruire delle relazioni profonde con l’altro.

La rete di supporto informale delle relazioni amicali, oltre che quella strettamente familiare, ha un’importanza fondamentale poiché può diventare una “pista d’atterraggio” morbida, calda e confortevole. Sensibilizzare a questo chi sta intorno la persona che vive un momento di crisi e sofferenza, può essere un buon modo per fare la propria parte senza mai sentirsi esclusi o evitati.
Chi stabilisce un legame con un individuo in crisi spesso si ritrova a vivere stati di impotenza, si può sentire inopportuno, incapace di intervenire, nonostante la spinta interiore che lo porta a voler aiutare si può ritrovare in uno scomodo stato di immobilismo.

Vi suggerisco una cosa che probabilmente vi stupirà: fermatevi! Insistere su questi pensieri aumenterà esclusivamente i vostri sentimenti di inadeguatezza, accettate e rispettate semplicemente il cambiamento della persona a voi cara, lasciatele spazio fisico e mentale per rinascere, allo stesso tempo non smettete mai di starle accanto, con questo non intendo che dobbiate imporle una vostra prossimità fisica ma intendo darle qualche segnale della vostra presenza, farle presente che può sempre contare su di voi. Spesso sono i dettagli e i piccoli pensieri che sul lungo periodo danno i loro frutti, non abbiate fretta, tutti i processi trasformativi che richiedono un ri-adattamento della dimensione di vita mettono alla prova e sono lunghi, cercate solo di esserne dei facilitatori indiretti.
È fondamentale creare una RETE di relazioni VERE (non fittizie o apparenti) in modo che attraverso questa si possa facilitare se stessi e il prossimo a camminare sul terreno della crisi con adeguato equipaggiamento e amore per la scoperta, attraverso un contatto di reciproco rispecchiamento. Sì, perché la crisi nasconde sempre qualcosa nel suo nucleo, qualcosa che dobbiamo scoprire e che tende a venire a galla con tutte le sue forze.
Ciascuno di noi è come un pezzettino insostituibile di un mosaico in continuo movimento e in costante evoluzione che si muove con onde di forza variabile, a volte queste onde ci colpiscono, altre volte ci trascinano. In questo mare dalla moltitudine di colori e chiaroscuri è normale essere feriti, provati, sporcati nel percorso, fa parte del gioco.
Del resto, “bello” non è sempre luminoso, positivo, eccellente, conforme, “bello” è soprattutto limitato, fallibile, unico, irripetibile.

 

Carlotta Cadoni ©

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