Dalla Crisalide alla Farfalla – Un viaggio nello sviluppo del Potenziale

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Dalla Crisalide alla Farfalla – Un viaggio nello sviluppo del Potenziale

“Ognuno di noi ha un paio d’ali, ma solo chi sogna impara a volare” (1).

Questa è la storia di un viaggio di esplorazione. Un viaggio che ha portato una piccola farfalla a spiccare il volo dopo essersi guardata dentro profondamente.
Non tutti sanno che la farfalla si sviluppa in quattro stadi: uovo, bruco, crisalide e farfalla.

C’era una volta un piccolo bruco che dopo essere uscito dal suo uovo aveva sempre svolto tutti i compiti che gli venivano affidati con diligenza e spirito di abnegazione senza opporsi o ribellarsi mai perché, anche se si rendeva conto di non essere un granché felice e contento, non voleva quasi mai contraddire e deludere il prossimo.

Il bruco cresceva velocemente e altrettanto velocemente crescevano gli impegni e le responsabilità, ma soprattutto le aspettative che gli altri riversavano su di lui.

Nel tempo si era costruito un abito fatto su misura da indossare nelle occasioni pubbliche o sociali in modo da risultare sempre smagliante e imperscrutabile: un abito rosso come il fuoco, rock come la musica, piccante come il peperoncino e duro come il ferro. Qua e là spuntava, di rado, qualche fiore. Un abito che sembrava molto appariscente e piuttosto aggressivo per essere quello di un bruco che si sentiva piccolo e fragile, tanto che, quando lo indossava, si trasformava in un forte e potente felino. Continuava a farlo ogni volta che ne sentiva l’esigenza tanto che ormai finiva per identificarlo con sé, come se fosse la sua seconda pelle. Più passava il tempo e più si rendeva conto che l’avvolgeva come un bozzolo strettissimo e dentro a quel bozzolo si sentiva sempre meno a suo agio. Provava a liberarsene o ad adattarselo meglio addosso, ma sempre senza successo.

Così continuava nella sua mesta esistenza alternando momenti di intensa euforia ad altri di intensa tristezza senza mai trovare la vera felicità.

Ma cosa cercava concretamente?
Cosa pensava gli mancasse realmente?
Cosa lo avrebbe reso veramente felice?

In fondo, aveva tutto: famiglia, lavoro, amici, salute. Non gli mancava nulla.

Perché cercare qualcos’altro?
E soprattutto, cosa cercare? Dove cercare? E per quale fine?

Queste domande iniziavano a ritornare costantemente nella mente del bruco-crisalide ma nessuna risposta risuonava mai abbastanza bene e sembrava essere quella definitivamente appagante.

Un giorno, si sofferma a leggere questa frase: Chi sei tu? (2)

Da quel momento, questa semplice domanda inizia a rimbombare come un’eco nella sua testa più di tutte le altre: “Chi sei tu?” – “Chi sono io?”.

All’improvviso, ricorda un vecchio saggio socratico il cui motto recita conosci te stesso – “riconosci in primo luogo quello che sei” (3) – e capisce che la ricerca della verità è contemporaneamente la ricerca del vero sapere e del modo migliore di vivere. Realizza che esiste un istinto primordiale che chiede all’essere vivente di scoprire chi sia e cosa debba fare per vivere nel modo migliore.

Ma come faceva quell’illustre saggio a far emergere la conoscenza di sé?

Egli praticava quella forma dialogica della ricerca e della prova chiamata Maieutica (4). Legava la sua arte a quella di sua madre – una levatrice – e sosteneva che come l’ostetrica aiuta i figli a venire alla luce, così l’autentico maieuta non ha alcun insegnamento diretto da comunicare, ma sollecita l’interlocutore a scoprire da sé, nella sua anima, quelle verità che illumineranno la sua esistenza e lo aiuteranno a orientarsi nella vita.

La crisalide decide allora di mettersi in viaggio per scoprire il suo vero IO.

Decide di iniziare a mettere al centro della propria ricerca l’unicità di sé come persona, non come maschera – quella usata dall’attore teatrale per acquisire le sembianze del personaggio che interpretava – ma come essere unico dotato potenzialmente di coscienza di sé e in possesso di una propria identità.

Si rende conto che per portare a termine il viaggio dovrà spogliarsi di quegli abiti di circostanza che ha indossato fin ad oggi, mettersi a nudo e poi rivestirsi di qualcosa di nuovo.

E per ascoltare ed ascoltarsi bene occorre che usi tutti i suoi sensi, ma in particolar modo occorre che usi il cuore, la parte più intima di sé, quella legata alla propria essenza e quindi all’unicità del suo potenziale. Il silenzio e l’ascolto di sé saranno da ora in poi il suo più grande alleato per trovare quelle risposte tanto ricercate e attese negli ultimi anni.

Un giorno incontra una Libellula che le chiede di seguirla in un luogo sconosciuto ai più. È un’antica casa non troppo grande, ma con possenti fondamenta, tre pilastri di sostegno e un maestoso capitello su cui spicca la scritta: CASA del COACHING.

Casa del Coaching?! Cosa sarà mai? Cos’è il Coaching? – chiede la crisalide alla libellula.

Il Coaching, cara mia, è (4) “un metodo di sviluppo di una persona che si svolge all’interno di una relazione facilitante, basato sull’individuazione e l’utilizzo delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi di miglioramento/cambiamento autodeterminati e realizzati attraverso un piano d’azione”. No, no, scusa ma… il Coaching è?!? Un metodo?!? Se non è una medicina, non mi interessa!!

Sì! Il Coaching è un metodo e le fondamenta di questa casa si basano proprio su questo metodo che indica la via e la direzione oltre cui andare. – Oltre, che cosa? – Oltre ciò che appare, attraverso una ricerca e un’indagine che servono per raggiungere uno scopo o un luogo.

Se vuoi entrare in questa casa devi essere pronta a andare… oltre i tuoi limiti e le tue percezioni. Oltre a quello che sei stata fino ad oggi. Oltre a quello che gli altri vedono in te.
Perché all’interno di questa casa troverai un tesoro: il Tuo Tesoro.

Il mio tesoro?! Ho capito bene?!

Certo! Ogni essere in quanto unico ed irripetibile possiede un tesoro inestimabile: il Suo Potenziale.

La crisalide è molto incuriosita e vorrebbe volare dentro la casa per visitarla, ma le parole pronunciate dalla libellula la intimoriscono. E se non fosse in grado di compiere questo viaggio? E se non fosse pronta per cercare il proprio potenziale? E se non fosse pronta per scoprire il suo vero IO? E se … Mentre queste parole le risuonano nella mente, all’improvviso, presa da un’irrefrenabile voglia di conoscersi profondamente, decide di varcare la soglia ed entrare. Chiede alla guida di accompagnarla lungo il cammino.

In questo modo, attraverso un dialogo costante con la libellula, la crisalide inizia a conoscersi meglio, ad avere maggiore consapevolezza di sé, a riconoscere i suoi punti di forza e le sue caratteristiche positive e non più solo quelle negative e ad esplorare il suo potenziale.

Prima di entrare riceve un foglietto con un’indicazione: “Devi aprire questo biglietto solo nel momento in cui sentirai di aver compiuto il tuo percorso”.

La crisalide non capisce esattamente cosa intenda dire, ma decide ugualmente di aspettare perché si fida della sua accompagnatrice e non ha più fretta di capire tutto e subito.
Dopo aver preso maggiore consapevolezza di sé, della realtà che la circonda e dei contesti in cui ha agito finora, inizia un processo in cui coscientemente decide di apportare dei mutamenti nella propria esistenza. E a questo punto ecco che la libellula le sottopone alcune domande inaspettate:

Cosa significa per te il concetto di “cura di sé”?
Con quali modalità oggi ritieni di avere cura di te?
Cosa potresti fare per prenderti cura di te?

Ci pensa a lungo …ed ecco che le idee prendono forma e i pensieri si trasformano in parole.

La vera cura di sé,
il vero prendersi in carico
facendo la pace con le proprie memorie
inizia probabilmente quando non più il passato
bensì il presente,
che scorre giorno dopo giorno
aggiungendo altre esperienze
– certo sempre meno sorprendenti
di quelli degli anni finiti
della giovinezza e della prima età adulta -,
entra in scena.
E diventa luogo fertile
per inventar o svelare
altri modi di sentire,
osservare,
scrutare e registrare
il mondo dentro e fuori di noi. (6)

La crisalide inizia a scaldarsi e a sentire che il suo essere tende ad allinearsi con il suo saper essere e il suo saper fare … in un flusso inesauribile di parole da cui sente di trarre soddisfazione e senso.

Prendermi cura di me significa dedicare tempo alle mie passioni, al mio corpo, alla mia mente e alla mia anima.
Prendermi cura di me significa contornarmi di persone con cui ho piacere di stare, non dar peso a chi intende screditarmi e accettarmi per quel che sono (pregi e difetti).
Prendermi cura di me significa essere libera di indossare l’abito che voglio in qualsiasi momento della vita senza preoccuparmi di farmi vedere vulnerabile, indifesa, emotiva o debole, ma senza neanche preoccuparmi di dover essere il contrario.
Prendermi cura di me significa essere quel che sono nel contesto ambientale in cui vivo ogni giorno.

La libellula, dopo aver lasciato fluire il corso dei pensieri della crisalide senza mai interromperla, interviene sommessamente chiedendole: Pensi che questo sia il tuo obiettivo per questo viaggio?
La risposta non può che essere: SI.

Da questo momento, grazie ad un’operazione maieutica di dialoghi fatti di domande e ascolti, restituzioni e silenzi iniziano ad uscire tutte le risorse che la crisalide ha sempre avuto, ma delle quali non si è mai realmente resa conto. Sono risorse interne come la grande determinazione nel fare le cose e la perseveranza, l’altruismo, la rettitudine, le spiccate doti relazionali, la bontà, l’empatia… e tante altre ancora che giorno dopo giorno può continuare ad esplorare e vivere. E sono risorse esterne come la solidità delle relazioni famigliari e sociali, la stima del prossimo, i riconoscimenti dei propri valori personali.

Riflettendo su questo, la crisalide inizia a rendersi conto che quelle potenzialità che ha sempre saputo di avere e che finora ha sempre vissuto in terza persona ora si stanno interiorizzando e inizia a viverle in prima persona. Inizia a capire che la vera motivazione al cambiamento, la motivazione intrinseca al cambiamento risiede dentro di sé. Solo in questo modo, può trovare quel che cerca. Può trovare il vero senso a quel che fa e la vera soddisfazione perché non proviene da altri ma da se stessa.

Ecco che dal conosci te stesso al prenditi cura di te si passa al diventa ciò che sei. Cioè: Autorealizzati! Perché ogni essere vivente ha una tensione innata a manifestare il proprio potenziale.

Come faccio a scoprire il mio talento innato?

La libellula propone alla crisalide un gioco:

Scrivi nella sagoma di una ghianda tutte le cose che ami fare, quali argomenti ti incuriosiscono, su cosa punti l’attenzione mentre parli o viaggi, cosa pensi di saper fare, cosa gli altri dicono che sai fare, concentrandoti soprattutto sulle piccole cose.

Grazie a questo esercizio, la crisalide inizia a capire che fin da quando era ancora un bruco aveva in sé tutte le potenzialità: carattere, intelligenza, attitudini, valori, competenze e motivazione.
E ricorda il detto degli anziani che recita “C’è un tempo per la semina e uno per il raccolto, ma ci vuole la pazienza di aspettare il germoglio”. (7)

Infatti, tutti, prima o poi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiami a percorrere una certa strada. Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite individuali dimentica una cosa piccola quanto essenziale: il “me”. Se si accetta l’idea di essere il mero effetto di un impercettibile palleggio tra forze ereditarie e forze sociali, ci si riduce a diventare un mero risultato. (8)

Quindi la crisalide capisce che l’autorealizzazione non è la felicità chiusa in se stessa, ma è la felicità inserita in un contesto e in un ambiente esterno. È un’autorealizzazione interiore ed esteriore, perché la felicità e il benessere risiedono nella realizzazione della propria anima, spirito, essenza o potenziale.

Ricordandole che “tutto quello che ci succede è un’opportunità e a fare la differenza è il modo in cui lo affrontiamo”, la libellula le sussurra: Chiediti: cosa posso fare per ricominciare da qui? (9)

Credo di essere in grado di poter prendere degli impegni concreti con me stessa e di poterli realizzare nel prossimo futuro: impegni per far sì che la mia vita sia vissuta in prima e non in terza persona e che mi consentano di liberarmi una volta per tutte di questo ingombrante abito rosso che dà voce solo alle mie emozioni per sostituirlo con uno nuovo di volta in volta. Ad esempio, con uno bianco quando ho bisogno di chiarezza e di essere neutrale, con uno nero quando sento la necessità di essere critica, con uno giallo quando ho bisogno di essere positiva, con uno verde quando ho bisogno di essere creativa, con uno blu quando voglio essere la regista di me stessa, delle mie emozioni e delle mie azioni nel contesto delle relazioni e degli ambienti in cui mi trovo a vivere. (10) Perché c’è un abito per ogni circostanza e a volte servono tutti insieme.

Guardando meglio il capitello portante, sotto la scritta CASA del COACHING, la crisalide adesso legge un’altra scritta: C.A.R.E.®; mentre sui tre pilastri della casa legge distintamente tre parole: RELAZIONE, POTENZIALE, AZIONE.

Ecco che il cerchio si è chiuso. Tutto le è più chiaro.

La Casa del Coaching, che basa le fondamenta sul Metodo, è anche la casa della Consapevolezza, dell’Autodeterminazione, della Responsabilità e dell’Eudaimonia. A reggerla ci sono la relazione facilitante creata dalla libellula con il suo stile pacato e un po’ materno, il potenziale del bruco-crisalide che è emerso attraverso il dialogo maieutico e il piano d’azione che essa stessa ha determinato di svolgere consapevolmente e responsabilmente.

La crisalide sente di essere in dirittura d’arrivo di questo viaggio.

Sente ormai che la sua trasformazione si sta completando. Sente la necessità di uscire da quel bozzolo in cui è stata rinchiusa per così tanto tempo. Sente di non aver più bisogno del vestito di circostanza. Sente finalmente di essersi mossa e non solo fisicamente dal suo stato larvale, ma anche e soprattutto interiormente ed intimamente.

Lo sente perché riesce a quantificarlo, riesce a dare un peso a quanto detto, riesce a vederne in prospettiva il guadagno dei cambiamenti che sta facendo e sa di avere le risorse per proseguire il cammino autonomamente.

Guarda il biglietto che ha custodito con cura e solo ora capisce le parole della sua guida.

Con un po’ di trepidazione lo apre e legge:

“VOLA MIA PICCOLA FARFALLA,
PERCHÉ’ LA FELICITA’ NON È UNO STATO MA È UN PERCORSO!” (11)

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Maria Vittoria Campoli
Talent Acquisition Specialist
Modena
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