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Le Donne nella Cultura Pellerossa

di Dario Bernardi

Le donne indiane erano sempre oggetto di premure e attenzioni, a cominciare dal mattino, quando il marito spazzolava i capelli alla moglie, le faceva le trecce e le dipingeva il viso per proteggerlo dal sole bruciante delle pianure.

Le donne indiane avevano molta cura dei loro piccoli e non si limitavano ad assicurare loro la sopravvivenza, ma facevano di tutto per rendere la loro vita bella e piacevole. Per quanto riguarda i piccoli del cosiddetto “Popolo delle Pianure”, probabilmente nessuna infanzia è stata più felice: non c’erano bambini più coccolati, viziati, protetti e liberi. Senza scuola, senza orari, senza disciplina convenzionale. i bambini attraverso il gioco apprendevano le arti, la tecnica, le tradizioni, la cultura collettiva.

Ed erano tutte le donne della tribù a prendersi cura dei bambini, fino all’adolescenza. Le donne massaggiavano i bambini più volte al giorno, soprattutto nei gelidi inverni delle pianure, usavano il grasso di bisonte per ripararli dal gelo e raccoglievano il muschio fresco e assorbente, che fungeva da pannolino per i più piccoli.

Libri e varie...

Erano ancora le donne a realizzare (di solito durante la gravidanza) bellissimi porta-enfant di morbida pelle di cerbiatto, arricchita di piccolissime perline multicolori. Tra le puerpere c’era molta solidarietà: se una non aveva abbastanza latte per nutrire il proprio bambino, ce n’era sempre un’ altra che ne aveva in eccesso e che fungeva da balia. La sera, per far addormentare i piccoli cantavano lunghe nenie tutte insieme. Per i problemi di salute meno importanti, come coliche o dolori per la dentizione, erano sempre le donne a fungere da pediatra e a curare il bambino con erbe medicinali, (gli analgesici più usati erano la salvia e le foglie di salice).

Il cibo, inoltre, era sempre pronto e abbondante, conservato cotto in modo da poter essere servito in qualsiasi momento. Infatti, non era destinato soltanto al consumo della famiglia, ma di chiunque – forestieri o parenti – arrivasse all’improvviso. Nella vita sociale degli indiani, il saper preparare e servire il cibo era molto importante. Attraverso l’offerta e la condivisione del cibo, si rinsaldavano i vincoli, sia tra il capo famiglia e i capi della tribù, sia con i parenti della moglie. Tutti i compiti delle donne erano considerati onorevoli e dignitosi. Nessun lavoro era ritenuto servile.

Le donne erano sempre oggetto di premure e di attenzioni, a cominciare dal mattino, quando il marito spazzolava i capelli alla moglie (con una coda di porcospino attaccata ad un impugnatura decorata), le faceva le trecce e le dipingeva il viso (se dopo divenne una questione di moda, all’inizio questa pratica cominciò per il fatto che molte donne Lakota avevano una carnagione bellissima e molto delicata, che mal sopportava il vento caldo e il sole bruciante delle pianure).

Il matrimonio era tenuto in grande considerazione presso i Sioux. La celebrazione consisteva nel fatto che il fidanzato andava a prendere la ragazza nel tepee dove alloggiava con la sua famiglia e la portava nella nuova tenda della nuova coppia (preparata precedentemente dalle donne imparentate con la sposa).

Lei dava subito dimostrazione di essere a casa sua: accendeva il fuoco al centro della tenda, sedendosi al posto della moglie a destra del focolare, di fronte si sedeva il marito, nel posto proprio del capo famiglia… così semplicemente senza altre formalità erano marito e moglie. Il matrimonio doveva essere consenziente, poteva esserci un accordo tra la famiglia di lei e quella dello sposo, oppure si poteva fuggire mettendo entrambe le famiglie di fronte al fatto compiuto o ancora, in casi estremi, la donna veniva rapita, senza perdere tempo, e anche se spesso si creavano chiacchiere e “inciuci”, non appena la sposa rimaneva incinta, tutto si metteva a tacere.

Una madre conquistava automaticamente il massimo rispetto collettivo; la sua “professione” di madre era tenuta in grande considerazione e rispetto, al punto che nel momento in cui la donna si rendeva conto di essere incinta, troncava i rapporti sessuali con il marito (cosa che non creava tensioni né contrasti: le premure dello sposo rimanevano immutate).

Una volta avuto il bambino, i genitori si preoccupavano di non metterne in cantiere un altro almeno fino a quando il precedente non avesse raggiunto l’età di 5-6 anni, in modo che potesse avere tutte le attenzioni possibili e che la donna non si stancasse troppo. La moglie, inoltre, non prendeva il nome del marito né del suo clan e i bambini appartenevano al clan della madre.

Se la cerimonia del matrimonio era piuttosto semplice e diretta, il corteggiamento era invece un rito più lungo e complicato: un metodo molto diffuso era quello di mettersi vicino al fiume e aspettare che la donna passasse per attingere l’acqua o per lavare i panni, afferrare il lembo della sua sottana o colpirla a distanza con dei sassolini. Se lei rallentava il passo, significava che il corteggiatore aveva il permesso di affiancarsi e parlarle, se non era interessata lo avrebbe ignorato.

Altro tipo di corteggiamento era quello della coperta: i corteggiatori si presentavano dopo il tramonto davanti al tepee della famiglia di lei e chiedevano di sedersi accanto alla ragazza, avvolgendola nella coperta. Se lei gradiva, la conversazione si prolungava e non era raro che ci fosse qualche “approfondimento” reciproco nella conoscenza del corpo dell’altro. Ma sempre da seduti… era vietato infatti sdraiarsi sotto la coperta. Se, invece, lei non gradiva, il corteggiatore veniva congedato in fretta.

La violenza sulle donne esisteva, ma era molto rara, forse anche perché la vendetta da parte della vittima era piuttosto dura e definitiva: le donne lakota, addestrate fin da piccole all’arte della macellazione, maneggiavano il coltello con molta facilità. Si può immaginare come potessero usare quest’abilità… ma questa pratica non conveniva a nessuno, perché la donna che riusciva a compiere questa vendetta, era poi tenuta a mantenere l’uomo castrato fino alla sua morte.

Per il divorzio nessun ricatto, nessuna spesa e nessuno avvocato: così come l’entrata della donna nel tepee sanciva il suo ruolo di sposa, l’uscita con le proprie masserizie significava la rottura del legame matrimoniale. Al marito non restava altro che “suonare il tamburo”: si portava al centro dei cerchi di tende e gridava “questa donna non è più mia. Chi la vuole se la prenda”. Se era la moglie ad essere stanca del marito, lo buttava semplicemente fuori dal tepee e, se voleva accoglierci un altro uomo, non doveva dare nessuna spiegazione.

Nessun “avvocato” neanche per la spartizione dei beni: giacché la terra non apparteneva a nessuno, non c’erano né terre né proprietà da dividere. Semplicemente alla donna spettavano oltre alla tenda (che già era sua), un cavallo da carico, tutte le suppellettili domestiche, tutti i coltelli tranne quelli da caccia e tutte le pelli che aveva conciato durante la vita matrimoniale (tranne quelle conciate esclusivamente per il marito). A lui spettavano il piumaggio, le armi, i cavalli da caccia e da guerra. Neanche troppe storie si creavano per l’affidamento dei figli: i piccoli, quelli che ancora dovevano arrivare alla pubertà, restavano con la madre, i più grandicelli andavano col padre.

In genere, i divorzi erano dovuti ai tradimenti, ma se un marito infedele non poteva essere punito dalla propria donna (che aveva solo il diritto di andare in collera e di divorziare), per una donna infedele la punizione era un po’ peggiore: al primo tradimento il marito aveva il diritto di tagliarle una treccia o… due, se era particolarmente geloso.

L’uomo in teoria poteva avere più mogli ma erano casi rarissimi e se succedeva era soltanto nel caso in cui la prima moglie era anziana o lui un guerriero ricco con molti cavalli. Era costretto infatti a mantenere tutti i parenti delle varie mogli. Avere molte mogli, tuttavia, poteva essere anche un investimento economico: se una donna da sola conciava 4 pelli l’anno, più donne, naturalmente, avrebbero conciato più pelli.

Le donne lakota erano di solito silenziose e riservate e in genere non partecipavano alla vita pubblica, ma una donna anziana e particolarmente saggia, o che aveva mostrato un particolare coraggio, poteva diventare parte del Consiglio Tribale senza problemi.

Articolo di Dario Bernardi

Fonte: https://www.camminidiluce.net/diario-di-cammini-di-luce/entry/13-cultura-pellerossa/120-le-donne-nella-cultura-pellerossa.html

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