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Multiverso cosmologico o locale?

di Paolo Di Sia

La conoscenza dell’uomo relativa all’universo si è evoluta nel corso del tempo, passando dal sistema solare alle stelle della Via Lattea, dalle stelle lontane alle galassie più distanti nel campo visivo. Oggi la cosmologia ritiene che interi altri universi potrebbero esistere oltre a quello in cui ci troviamo.

La meccanica quantistica sta rivelando novità inusuali e aspetti fuori da ogni tipo di logica tradizionale. I fisici e i filosofi hanno a lungo argomentato sul profondo significato della teoria dei quanti, trovandosi d’accordo sul vasto regno che si trova al di là dei comuni sensi dell’uomo. Una delle letture più affascinanti delle equazioni della teoria quantistica, è la cosiddetta “Interpretazione a molti mondi”, avanzata dal fisico Hugh Everett III intorno al 1950 (Fig.1).

Hugh Everett III nel 1964

Fig. 1: Hugh Everett III nel 1964

Se prendiamo la meccanica quantistica in senso letterale, il mondo si rivela essere più grande di quanto ci aspettiamo; il nostro mondo classico sarebbe solo una parte estremamente piccola di una realtà molto più grande. Tutto ciò che può accadere secondo la meccanica quantistica, di fatto accadrebbe da qualche parte in uno di un grande insieme (forse infinito) di universi; le probabilità della teoria quantistica sono in relazione al numero dei vari universi e di fatto sarebbero là effettive. I molti mondi di Everett potrebbero essere molto diversi dal cosiddetto multiverso cosmologico; quest’ultimo infatti sarebbe costituito da universi paralleli distanti, distinte regioni dello spazio-tempo, in continua evoluzione dai propri big-bang. I molti mondi di Everett, al contrario, sarebbero qui; la ramificazione quantistica che si verifica durante una misura (o una scelta) darebbe origine a nuovi mondi che si sovrappongono con quello in cui viviamo.

Secondo l’interpretazione convenzionale della meccanica quantistica, la cosiddetta “Interpretazione di Copenaghen”, pensata da Niels Bohr e suoi collaboratori, si deve distinguere tra “osservatore” e “ciò che viene osservato”; l’osservatore siamo noi e l’esperimento è ciò che stiamo osservando. Ogni nostra possibile scelta ci fa “entrare” in un universo diverso da quello della scelta opposta (Fig.2).

L’interpretazione a molti mondi è stata applicata alla creazione di universi nel multiverso cosmologico. I due tipi di multiverso fanno previsioni praticamente uguali per le nostre osservazioni, con la differenza che situano i possibili esiti in luoghi diversi. Vari scienziati hanno visto una fondamentale equivalenza tra il multiverso cosmologico, con i diversi stati situati in regioni spazio-temporali molto distanti da noi, e il multiverso locale, in cui i diversi stati sono qui, in diversi rami della funzione d’onda.

La “ramificazione” della realtà prodotta dalle diverse scelte.

Fig. 2: La “ramificazione” della realtà prodotta dalle diverse scelte.

Il cosmologo Max Tegmark (“Our Mathematical Universe: My Quest for the Ultimate Nature of Reality”, Alfred A. Knopf (2014)) ha descritto diversi “livelli” di multiverso. In particolare il livello I si riferisce a regioni molto distanti del nostro universo (quindi il multiverso cosmologico), il livello III è relativo ai molti mondi quantistici (il multiverso locale). Per vedere la somiglianza tra i livelli I e III, si deve pensare alla natura della probabilità; se qualcosa può avere due esiti diversi, come il lancio di una moneta, noi ne vediamo solo uno, ma anche l’altro è accaduto, o in qualche altra parte di un universo parallelo o in un mondo parallelo proprio qui. Gli eventi che si verificano sulla terra potranno verificarsi anche altrove, così come tutte le possibili varianti di quegli eventi. La ragione per cui gli eventi quantistici sono incerti, è che siamo incerti su dove siamo nel multiverso.

Facciamo un semplice esempio, che lascia a dir poco perplessi. Alla mattina ci affidiamo alla sveglia per alzarci. A seconda che la svegli suoni o meno, saremo puntuali o faremo tardi. Dal punto di vista a molti mondi (multiverso locale), ci sono due mondi che si sovrappongono; in uno la sveglia suona, nell’altro no. Nel multiverso cosmologico, ci sono altri universi, o parti del nostro universo, dove un gemello identico a noi è stato formato e ottiene un risultato diverso dal nostro (se la nostra sveglia suona, la sua non suona). Da un punto di vista matematico queste due situazioni sono identiche.

Ovviamente non tutti accettano l’idea del multiverso in generale. Le teorie riguardanti tali questioni sono ancora provvisorie, ma danno un suggerimento radicale: che i due “tipi” di multiverso non sembrano essere distinti, cioè il punto di vista a molti mondi è lo stesso del multiverso cosmologico. Se sembrano diversi, potrebbe essere perchè noi stiamo pensando la realtà nel modo sbagliato.

Anche il fisico Leonard Susskind (“The Cosmic Landscape: String Theory and the Illusion of Intelligent Design”, Back Bay Books; Reprint edition (2006)), afferma che il punto di vista a molti mondi sembra, in un primo momento, un concetto molto diverso da quello del multiverso cosmologico. Ma analizzati in dettaglio, i due approcci dimostrano di essere la stessa cosa. Nel 2011 Susskind e fisico Raphael Bousso hanno scritto un articolo in cui affermano che i due multiversi sono proprio la stessa cosa.

Essi sostengono che l’unico modo per dare un senso alle probabilità associate con la meccanica quantistica e al fenomeno della decoerenza, in cui la teoria dà origine alle nostre categorie classiche come posizione e velocità, è quello di applicare l’approccio a molti mondi everettiano alla cosmologia. Il risultato è un multiverso cosmologico.

Anche il fisico Yasunori Nomura ha pubblicato un articolo dove espone un trattamento completamente unificato dei processi di misurazione quantistica e del multiverso. Max Tegmark è arrivato a conclusioni simili nel 2012. Immaginiamo di guardare al multiverso con “l’occhio di Dio”, ossia potendo guardare comtemporaneamente tutte le possibilità che si svolgono (visione globale); in questo caso non vi è alcuna probabilità, tutto avviene con certezza, in una certa posizione. Ma dal nostro punto di vista umano limitato, qui sulla terra, i vari eventi si svolgono con diverse probabilità (visione locale). Il passaggio dal punto di vista globale a quello locale porta ad una visione parziale del multiverso che separa il misurabile dal non misurabile; la parte misurabile è il nostro “ambiente causale”, ossia ciò che noi osserviamo oggi e che sarà accessibile ai nostri discendenti. Da questo punto di vista, possiamo quindi dire che la ragione per cui gli eventi quantistici sono incerti, è che noi siamo incerti su dove ci troviamo nel multiverso.

Tegmark sostiene che la nozione di probabilità in meccanica quantistica riflette semplicemente la nostra incapacità di auto-individuazione nel livello I del multiverso, ossia non sappiamo quale delle “infinite” nostre copie in tutto lo spazio, è quella che ha le nostre percezioni soggettive. Questa “insicurezza” trascina con sé l’aspetto probabilistico.

Bousso si ritiene “soddisfatto” del successo matematico di questo approccio, e preferisce non “perdere il sonno” nella ricerca del significato più profondo di questi multiversi uniti. In ultima analisi l’unica cosa che conta sono le previsioni della teoria e come si confronta con le osservazioni. Le regioni esterne al nostro orizzonte cosmologico non sono osservabili, e anche i rami della funzione d’onda sono strumenti che usiamo per fare i calcoli.

Certo una tale visione strumentalista della teoria fisica colpisce molti come insoddisfacente; forse per dare un significato più profondo al collegamento tra le diverse speculazioni sul multiverso, le nostre opinioni convenzionali di tempo e spazio hanno bisogno di un aggiornamento. Se il multiverso è sia lontano che vicino a noi, forse è un segno del fatto che le nostre categorie di “là” e “qui” devono essere riviste e ridefinite.

Circa venti anni fa Deutsch aveva già sostenuto (“La trama della realtà”, Einaudi, 1997) che il multiverso invita a lavorare su una nuova concezione del tempo. Nella vita quotidiana e anche nella fisica classica si presuppone l’esistenza di qualcosa di simile ad un tempo perenne newtoniano. Il multiverso viene comunemente descritto come una struttura che “si dispiega nel tempo”. Ma possiamo considerare il tempo anche come qualcosa che non scorre o passa, né noi avanziamo attraverso di esso in qualche modo misterioso. Il tempo è il mezzo con cui definiamo il movimento; così il multiverso non si evolve nel tempo, semplicemente è nel tempo. Inoltre alcuni di questi altri universi hanno “adesso” una stretta somiglianza con il nostro, cioè noi li interpretiamo come parte della storia del nostro universo piuttosto che universi a sé stanti. Per noi quindi, essi non sono lontani nello spazio, ma lungo la nostra linea temporale.

Come non possiamo sperimentare come esseri umani tutto il multiverso in una volta, così non siamo in grado di sperimentare questa serie infinita di momenti in una sola volta; la nostra esperienza riflette il nostro punto di vista di osservatori “vivi” con un corpo adesso e qui, che nella vita pratica sperimentano singoli momenti.

Anche le nostre nozioni di spazio potrebbero dover essere rinnovate nell’ambito del multiverso. Ci sono ancora molte domande che non hanno una risposta, o ne hanno una parziale, come il perché il mondo sembra classico, o perché ci sono quattro dimensioni dello spazio-tempo. Il modello a molti mondi non risponde a queste domande, ma fornisce un quadro da cui si possono trarre delle risposte e spunti futuri su cui adeguatamente lavorare.

Carroll e altri ritengono che lo spazio non sia fondamentale, ma invece un fenomeno emergente. Ma che cosa emerge? Cosa esiste di fatto? Per loro l’immagine everettiana fornisce una risposta chiara a questa domanda: il mondo è una funzione d’onda, è un elemento di uno spazio di Hilbert. Lo spazio di Hilbert è lo spazio matematico associato alla funzione d’onda quantistica. Essa è una rappresentazione astratta di tutti i possibili stati di un sistema.

I fisici generalmente iniziano a lavorare con un sistema che vive nello spazio reale e poi deducono il suo spazio di Hilbert, ma Carroll pensa si può invertire questo processo: immaginare tutti i possibili stati dell’universo e capire in quale tipo di sottospazio il sistema vive se, di fatto, vive nello spazio ordinario. Il sistema potrebbe non vivere in un unico spazio, ma in spazi multipli contemporaneamente, e allora noi chiamiamo un tale sistema un multiverso. Questo punto di vista è un modo naturale per pensare all’idea che lo spazio-tempo è emergente.

Molti tuttavia, specialmente tra i filosofi, ostacolano questo approccio. Essi ritengono che lo spazio di Hilbert può essere uno strumento matematico perfettamente legittimo, ma questo non significa che noi viviamo in esso. C’è anche chi sostiene una posizione “intermedia”, ossia che lo spazio di Hilbert non è una struttura “letteralmente esistente”, ma un modo di descrivere realtà fisiche, siano esse stringhe, particelle, campi, o qualsiasi altra cosa di cui l’universo sia in ultima analisi composto.

Hugh Everett III non è vissuto abbastanza per assistere al rinnovato interesse relativo alla sua versione della meccanica quantistica. È morto per un attacco cardiaco nel 1982, all’età di 51 anni; il suo lavoro, tuttavia, è più vivo che mai ai nostri giorni. Quando persone davvero brillanti creano teorie molto particolari, spesso accade che l’effettiva portata dei loro lavori venga compresa molto più avanti nel tempo, spesso dopo la loro morte. Grazie ad esse, però, impariamo che il mondo è più grande e più ricco di quanto avessimo mai immaginato.

L'Universo Matematico

di Max Tegmark

Tutto ha inizio con Galileo, secondo il quale "l'universo è scritto in lingua matematica". Una rivoluzione. Tre secoli dopo, nel 1960, il premio Nobel Eugene Wigner fa un ulteriore passo avanti, interrogandosi sull'"irragionevole efficacia della matematica": se la matematica è lo studio formale di concetti puramente astratti, indipendenti dal pensiero umano, com'è possibile che sia tanto accurata - addirittura perfetta -nel descrivere il mondo reale, che è fatto di oggetti materiali? È qui che entrano in scena Max Tegmark e questo libro.

Se l'ipotesi di una realtà esterna a noi è vera, allora la "teoria del tutto" - la descrizione completa della realtà - deve essere indipendente dal nostro pensiero (visto che noi della realtà facciamo parte), e l'unica cosa completamente svincolata dal pensiero umano è, appunto, la matematica. Dunque, per Tegmark il mondo reale coincide con la matematica, non è solo descritto dalla matematica, ma è matematica. Con questa idea travolgente, discussa da tempo tra gli specialisti e ora finalmente fissata sulle pagine di questo libro per tutti, Max Tegmark ci conduce attraverso il passato, il presente e il futuro, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo.

Attraverso la fisica, l'astronomia e la matematica ci introduce con una prosa lucida e originale alla sua teoria del "multiverso definitivo". Se ha ragione, da qualche parte, in un altro universo, deve esistere per forza un doppione di noi, in tutto identico a noi, ma che non ha fatto quel terribile sbaglio.

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Paolo Di Sia

Paolo Di Sia insegna attualmente fisica e informatica presso l`università degli studi di Padova. Ha conseguito una laurea in metafisica, una laurea in fisica teorica e un dottorato di ricerca in fisica teorica applicata alle nano-bio-tecnologie. Si interessa del rapporto tra filosofia e scienza, di fisica alla scala di Planck, di nanofisica classica e quantistico-relativistica, di nano-neuroscienza, di divulgazione scientifica. È autore di 247 lavori distribuiti tra riviste nazionali e internazionali, capitoli di libri, libri, interventi accademici su web scientifici, pubblicazioni accademiche interne, in stampa. È reviewer di 12 international journals, membro di 7 società scientifiche internazionali, membro di 30 international advisory/editorial boards, gli sono stati attribuiti vari riconoscimenti internazionali.

Paolo Di Sia
Università di Bolzano & ISEM (Palermo)
E-mail: [email protected]
Webpage: www.paolodisia.com

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