L'ENIGMA DELLA MATERIA OSCURA...

 


 

 


 

 

L'enigma della materia oscura
 

 

Quanta materia c'è nel nostro universo? Ecco una domanda che solo di
primo acchito potrebbe sembrare banale e inutile. La conta degli atomi a
scala universale è infatti essenziale per riuscire a predire quale sarà
il futuro del cosmo. Oltre un certo valore critico, l'universo - sotto
l'effetto del suo stesso "peso" - arresterebbe la sua espansione e
comincerebbe a raddensarsi, finendo la sua corsa in un "big crunch",
l'esatto contrario del "big bang".

 


 NASA, N. Benitez (JHU), T. Broadhurst (The Hebrew University), H. Ford (JHU), M. Clampin(STScI), G. Hartig (STScI), G. Illingworth (UCO/Lick Observatory), the ACS Science Team and ESA

D'altra parte, però, se la quantità di materia non dovesse
raggiungere la soglia critica, il cosmo continuerà ad espandersi
all'infinito. Tra le due soluzioni litiganti ve n'è una terza che gli
astronomi vorrebbero godesse. Se la materia dovesse rivelarsi
esattamente pari a questo limite, l'universo arresterebbe la sua corsa
entrando poi in uno stato di stasi permanente. Ecco dunque la necessità
per gli scienziati di riuscire a "pesare" l'universo.

Le analisi condotte sino ad ora sembrano indicare che il totale degli
atomi presenti è nettamente inferiore a quanto necessario per un
universo piatto (il terzo caso). Questa constatazione ha fatto nascere
negli astronomi il dubbio che in realtà nel cosmo vi fosse nettamente
più materia di quella visibile.

Sulla scorta di quanto riportato dal mensile francese

Science&Vie
(Science&Vie - Hors Série, n° 221, dicembre 2002,
Les énigmes de l'Univers),
Gianni Ceresa
illustra in questa pagina la storia e le implicazioni
recenti della ricerca di materia oscura.

Indice dei contenuti

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supporto

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sull'argomento possono essere inoltrate a: [email protected].
Saremo felici di poter rispondere ai vostri quesiti.

 

 
 
 

 


Cercasi materia disperatamente

 

 

Delle galassie che si muovono
troppo velocemente, delle stelle che rifiutano di obbedire alle leggi
della dinamica: niente sembra girare come dovrebbe nell'universo. A meno
che non contenga gigantesche quantità di materia oscura, la cui massa,
nell'ombra, non finisce di perturbare il balletto cosmico.

Cartografare quello che non si
vede: l'idea ha di che sorprendere. Pertanto, il progetto che dirige
Yannick Mellier dal 1996 all'Istituto d'astrofisica di Parigi è dei più
seri. Visto che come la maggior parte dei suoi colleghi, l'astronomo ne
è convinto: le miriadi di stelle e di galassie che osserviamo
nell'universo rappresentano solo un'infima porzione di tutta la materia
che contiene. Il resto, inaccessibile ai telescopi, sarebbe da scoprire.
Una materia nascosta, di cui Yannick Mellier e i suoi collaboratori
vogliono studiarne la ripartizione su grande scala.

"Il problema di questa materia
oscura è apparso dagli anni 1930, quando si è cominciato a studiare il
movimento delle galassie", ricorda Alain Bouquet al laboratorio di
fisica corpuscolare e di cosmologia del Collège de France. All'epoca,
uno dei primi a sollevare il dubbio si chiama Fritz Zwicky. L'astronomo
svizzero, installatosi negli Stati Uniti, studia nel 1933 il movimento
di sette galassie in una regione di cielo chiamata l'ammasso di Coma. Ma
pur facendo e rifacendo i suoi calcoli, nulla da fare: queste andavano
troppo velocemente. Troppo velocemente per le leggi di Newton che, dal
17 secolo, collegano la velocità degli astri alle masse che li
circondano (più queste masse sono importanti, più il movimento che
creano è rapido).

Ma per ottenere il movimento
delle galassie che Zwicky stava studiando, ci sarebbe voluta almeno 400
volte più di materia presente nell’ammasso. Già, ma dove si trovava?
Mistero. Purtroppo, Zwicky soffriva di una riputazione di persona
bizzarra e il suo carattere ombroso certo non aiutava. Inoltre
l'astronomia, all'epoca, aveva altri problemi in testa, come i
meccanismi d'evoluzione delle stelle. La sua scoperta fu dunque accolta
nell'indifferenza generale.

Indice

 

 

Perché vanno così veloce?

 

 

L'enigma risorse negli
anni 1970. Lo sviluppo dei ricettori elettronici, e particolarmente
delle camere CCD, decuplicarono le capacità dei telescopi. Un salto in
avanti che permise agli astronomi di studiare in dettagli la rotazione
delle galassie a spirale, in particolare nella loro parte più scura, in
periferia.

Nuova sorpresa:
all'interno di queste galassie, le stelle sembrano viaggiare, pure loro,
troppo velocemente. «Quando
guardiamo una galassia, il grosso della luce è vicina al centro, essendo
i bordi di meno in meno luminosi. Ci si attende di conseguenza che
l'essenziale della massa sia situato vicino al centro. Dunque più ci si
allontana, più la velocità delle stelle dovrebbe scendere - spiega Alain
Bouquet -. Ma le velocità osservate restano praticamente costanti, anche
molto lontano dal centro».
Spiegazione logica: o le leggi di Newton sono da correggere - come
suppone, senza per ora ottenere grande successo, un piccolo gruppo di
astronomi con in testa l'israeliano Morderai Milgrom - o esiste, nella
periferia di queste galassie, delle vaste quantità di materia la cui
attrazione gravitazionale accelera le stelle. Una materia che, malgrado
gli sforzi degli astronomi, resta per il momento invisibile.

Che succede al livello
superiore, tra le galassie stesse? Le carte dell'irraggiamento X
nell'universo, ottenute in particolare dal satellite Rosat negli anni
1990, hanno confermato l'intuizione di Zwicky. Esse hanno fatto
rilevare, in seno agli ammassi, l'esistenza di vaste nuvole di gas
ionizzati, di vari milioni di gradi. A questa temperatura il gas non
emette più della luce visibile, ma un irraggiamento X, più energetico,
invisibile dai telescopi terrestri a causa del filtro atmosferico.
«Ci si è resi conto che ci fosse
quasi dieci volte più di gas che di stelle in questi ammassi di galassie»
sottolinea Bouquet. Una scoperta che inverte la normale “prospettiva”
con cui si guardava all’universo: le galassie non sarebbero altro che
delle minuscole tasche isolate di materia fredda, a mollo in vaste
distese di gas caldi.

Ma se questo gas risulta
così caldo, è perché le particelle che lo compongono sono sottomesse ad
un campo gravitazionale intenso.

Ed ecco un nuovo punto sensibile:
«Avremmo voluto che la quantità
di gas presente potesse spiegare da sola il campo gravitazionale in cui
esso si sposta, ma i calcoli non funzionano. Ci vorrebbe all’incirca tre
volte più di materia rispetto a quella presente sotto forma di gas»
constata Bouquet. Come un assemblaggio di bambole russe, queste immense
quantità di gas sono dunque, a loro volta, circondate da una quantità di
materia sconosciuta ancora più grande. Magra consolazione:
«La quantità di materia nera
necessaria per spiegare il profilo di densità e temperatura di questo
gas corrisponde a quello di cui avevamo bisogno per spiegare il
movimento delle galassie - nota Alain Bouquet -. C'è dunque una coerenza
nel modello». Fatto, tutto
sommato, piuttosto incoraggiante.

Restava però da stimare
la quantità di materia nera su scala universale, obiettivo che si è
posto Yannick Mellier che partì dalla scoperta delle lenti
gravitazionali, di cui fu lui stesso all'origine, assieme a Bernard Fort
(direttore dell'IAP) e Geneviève Soucail (Osservatorio di Tolosa) nel
1987. Delle galassie curiosamente deformate, ritorse, oppure degli
immensi archi luminosi che tagliano il cielo, intrigavano all'epoca gli
astronomi. L'enigma fu rapidamente risolto: l'immagine di queste
galassie non è altro che la deformazione dell’immagine originale da
parte di vasti ammassi di materia situati tra la galassia e
l’osservatore, la cui gravità devia in cammino i raggi luminosi. Un
effetto che viene descritto molto bene dalla relatività generale di
Einstein, e che aveva suggerito nel 1937, l’onnipresente Zwicky; sì,
sempre lui. «Se prendiamo un
oggetto circolare lontano, sarà trasformato in una piccola ellissi -
spiega Yannick Mellier -. L'interesse di questa considerazione?
Conoscendo la deformazione possiamo, in senso inverso, ritrovare la
distribuzione di materia che l'ha creata.


L'effetto di lente
gravitazionale è ben visibile in questa immagine dell'ammasso
galattico Abell 1689. (più
immagini
)
(NASA / ESA / HST)

Indice

 

 

"Vedere" meglio la materia nera

 

 

Tracciare la materia oscura osservando l’effetto di
lente gravitazionale è ciò che ha fatto Yannick Mellier, che ha
osservato, con la sua équipe, le deformazioni delle galassie situate a 5
miliardi di anni luce. «Tutta la materia che si trova lungo questa linea
di “tiro” induce delle deformazioni -spiega Yannick Mellier -. Noi ne
vediamo l'effetto accumulato lungo la traiettoria della luce». Le
deformazioni a queste distanze sono normalmente infime e, visto che le
galassie non sono quasi mai perfettamente rotonde, è stato necessario
osservarne molte per vedere in che direzione queste piccole deformazione
avevano tendenza ad orientarsi: un analisi statistica colossale,
condotta su milioni di galassie dai telescopi Canada-France-Hawaï e VLT
(Very Large Telescope). Alla fine questa pesatura gigantesca ha reso il
suo verdetto: la materia nell'universo raggiunge il 30% della densità
detta critica, quella al di la della quale l'espansione del cosmo
finirebbe per invertirsi in un gigantesco big crunch. Annunciato nel
marzo 2000, questo risultato a fatto molto rumore in quanto conferma che
grandi quantità di materia sono ancora da scoprire; l'insieme della
massa realmente osservata non supera infatti il 5% di questa densità
critica.

La nuova sfida è qundi capire in maniera più precisa
come questa materia nera è ripartita nell'universo. «Abbiamo cominciato
un nuovo programma, al telescopio France-Canada-Hawï, con una camera che
sarà la più grande camera CCD al mondo: Megacam - annuncia Yannick
Mellier -. Una camera che permetterà di ingrandire la porzione di cielo
osservata fino a 172 gradi quadrati (contro gli 11 per il programma
precedente). Con una novità maggiore: differenti filtri permetteranno
questa volta di misurare l'allontanamento di questi archi
gravitazionali, e dunque di localizzare la massa che devia i raggi
luminosi. «Per la prima volta realizzeremo quella che si chiama una
tomografia, un po' come le tomografie mediche» dice entusiasta Mellier.
E c'è di che esser entusiasti, visto che si disporrà allora di una vera
mappa tridimensionale della materia oscura, dalla scala delle galassie a
quella dell'universo nel suo insieme.

Primi risultati attesi nel 2005. Con la speranza che
un altro enigma, pure assai imbarazzante, sia per allora risolto: di
cosa è composta questa materia nera?

L'effetto di lente
gravitazionale si genera quando la luce di un oggetto distante
entra in interazione con un forte campo gravitazionale posto tra
l'osservatore e l'oggetto stesso. Il risultato è un'immagine
sdoppiata e schiacciata.
(ESA)

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Newton si è sbagliato?

 

 

E se la materia nera, che
dovrebbe risolvere l'enigma della massa mancante dell'universo, non
esistesse? È la tesi che difende da una ventina d'anni, contro venti e
maree, Mordehai Milgrom dell'istituto Weizmann, in Israele. «Le prove di
una materia nera non sono che indirette» fa notare. A giusto titolo, in
effetti, visto che la prova è puramente "aritmetica": quando addizioniamo
l'insieme della materia visibile in una galassia o un ammasso di galassie,
otteniamo una gravità totale troppo bassa per spiegare i movimenti
osservato con l'aiuto delle leggi usuali della fisica. «Ma, è possibile
che le leggi della dinamica, dimostrate in laboratorio e nel sistema
solare, non possano semplicemente essere applicate alla scala delle
galassie», scrive Milgrom.

Sacrilegio? Senza dubbio,
visto che queste leggi, che spiegano da 300 anni il movimento dei pianeti
attorno al sole, siano saldamente ancorate nella testa di ogni astronomo.
L'alternativa Mond (Modified Newtonian Dynamics), che espose Milgrom nel
1983, propone di modificare la famosa legge d'inerzia (F = M.A) quando
l'accelerazione (A) diventa molto inferiore ad un valore limite a0
(concretamente questo si traduce nella sostituzione di A con A2/a0). Una
manipolazione che, di colpo, permette di ritrovare il movimenti osservati
nelle galassie e negli ammassi di galassie, senza aver bisogno di
aggiungere una qualsiasi materia nascosta. Fine dell'enigma? Da vedere. In
quanto per il momento, la comunità degli astronomi non è per nulla
convinta. «Il suo modello non risolve il problema a scala universale»
deplora per esempio Gabriel Chardin, del dipartimento astrofisica,
particelle nucleari e strumenti associati (Dapnia) del centro di studi
nucleari di Saclay. «Resta anche da integrare questa modifica in una
teoria della gravitazione più generale - sottolinea da parte sua Alain
Bouquet al laboratorio di fisica corpuscolare e cosmologia del Collège de
France -. Per ora, in 20 anni, nessuno ci è mai riuscito». Ci vuole ben
altro per mettere definitivamente nello sgabuzzino Newton.

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Di cosa è fatta la materia oscura?
 

 

Stelle oscure? Mini
buchi neri? Miriadi di pianeti extrasolari o gigantesche nubi di gas? Le
ipotesi le più ardite si accumulano per spiegare il mistero della massa
mancante dell'universo. E se la chiave passasse per degli accostamenti
ancora più "esotici"?

Lanciati tra squilli di
trombe negli anni 1990, i programmi Eros (esperienza per la ricerca
d'oggetti oscuri) e Macho (Massive Compact Halo Objects) avevano
suscitato grande speranza: svelare infine questa materia invisibile, o
materia oscura, che costituisce fino al 90% della massa della nostra
galassia e di cui non si percepisce che indirettamente l'effetto sul
movimento delle stelle.

Per questo gli astronomi
avevano messo in campo i grandi mezzi. Decine di milioni di stelle
osservate giorno dopo giorno nella nube di Magellano (piccola galassia
satellite della nostra) con una sola idea fissa in testa: trovare delle
nane brune, aborti di stelle (un decimo circa della massa del Sole)
troppo “leggere” per attivare nel loro nucleo la minima reazione
termonucleare. «Supponevamo che queste nane brune fossero molto numerose
nell'universo» si ricorda Alain Bouquet del laboratorio di fisica
corpuscolare e di cosmologia del Collège de France. L'accumularsi di
questi piccoli oggetti avrebbe dunque potuto spiegare l'enorme divario
che esisteva tra la massa presunta della nostra galassia e quella
ottenuta dall'insieme di tutte le stelle conosciute. Questi astri freddi
non irraggiano praticamente nessuna luce, erano dunque per natura
invisibili. Come trovarli dunque?

Per fortuna è la loro
stessa massa, per quanto debole essa sia, a tradire la loro presenza,
questo perché essa devia e concentra leggermente i raggi di luce delle
stelle a cui passano di fronte. Tale effetto viene definito di
“microlente gravitazionale”, un fenomeno che si manifesta tramite
l’amplificazione furtiva della luca delle stelle sullo sfondo. «Possiamo
usare questo effetto per captare la presenza di oggetti compatti non
luminosi nell'aureola luminosa della nostra galassia - spiega Bouquet -.
Prendiamo delle immagini successive di una porzione di cielo e guardiamo
se da qualche parte dei punti diventano improvvisamente più luminosi».

E proprio perché la
nuova tecnica prometteva molto, la disillusione fu ancora più amara.
«Abbiamo riscontrato un decimo degli effetti derivati da microlenti
gravitazionali rispetto a quanto ci attendevamo» confessa dispiaciuto
Alain Bouquet.

Alla prova dei fatti,
dunque, le nane brune non potevano certo costituire l'elemento
principale di questa materia nascosta nella nostra galassia, così come
gli altri oggetti poco massivi, stelle in fin di vita – nane rosse o
nane bianche. Esclusi anche i pianeti extrasolari, inizialmente in primo
piano, ma di cui ce ne vorrebbero delle quantità "astronomiche" per
contare qualcosa sulla bilancia. Eros e Macho avevano reso il loro
verdetto: l'insieme di questi residui compatti non poteva rappresentare
più del 15% circa della massa mancante.

Serviva un nuovo
indiziato. Mini buchi neri? Una moltitudine di questi mostri mangioni,
un milione di volte più massivi del Sole, avrebbero certo permesso di
risolvere il problema. Tuttavia presenza tanto ingombrante avrebbe
comportato effetti ben visibili sul moto delle stelle nella galassia.

La prima immagine di un Macho
ottenuta dal Hubble Space Telescope nel 2001. Una nana rossa
(l'oggetto di colore rosso) riflette qui la luce di una stella
più lontana (l'oggetto azzurro che sembra essergli accostato) in
quello che viene chiamato un effetto di microlente
gravitazionale. (ingrandisci)
(ESA
/ NASA / HST
)

Indice

 

 


Una misteriosa "intesa"

 

 

Fu lanciata a questo
punto una nuova ipotesi: e se questa enigmatica materia fosse in realtà
gas d'idrogeno molecolare? Questa eventualità avrebbe permesso di
spiegare una strana complicità tra materia oscura e materia “luminosa” e
lo strano comportamento delle galassie a spirare. Qui la velocità delle
stelle in rotazione cresce molto rapidamente nelle zone vicine al
centro, per poi stabilizzarsi su di un valore massimo che rimane poi
costante sino all'estremità della galassia. «È un po' imbarazzante - fa
notare Alain Bouquet - visto che l’aumento di velocità è essenzialmente
dovuto alla materia luminosa (alle stelle), mentre il valore tetto è
dovuto in principio alla materia oscura. Il fatto che la massima
rotazione centrale e la velocità in periferia coincidano lascia
intendere che vi sia una certa intesa tra materia luminosa e materia
oscura». In altre parole: la dove c'è materia luminosa, la materia
oscura sarebbe assente, e viceversa, in modo da creare "un equilibrio"
relativo. «Le galassie molto luminose non hanno l'aria di avere molta
materia oscura - osserva in effetti Alain Bouquet -. Invece per le
galassie poco luminose sembra essere esattamente il contrario: il
contributo della materia oscura sembrerebbe predominante».

Da qui l'idea che
questa misteriosa materia oscura possa essere del gas d'idrogeno
molecolare che, in certi casi, si condensa in stelle per formare
galassie molto luminose, mentre resta sotto forma di gas nelle galassie
più scure. Uno scenario elegante ma, sfortunatamente, che non ha potuto
essere confermato. La sua validità si ferma perlopiù a scala galattica.
Si sa infatti che a dimensioni più grandi, negli ammassi che contengono
migliaia di galassie, o a scala universale, le quantità di materia che
manca all'appello è ancora molto elevata. A questo punto vi sono buone
ragioni per supporre che questa materia non abbia nulla a che fare con
quella che ci circonda.

Chi ce lo dice? La
teoria del Big Bang in persona, perché, per spiegare l'attuale
abbondanza di elementi leggeri (idrogeno, elio, deuterio, litio)
nell'universo, ci vuole una quantità iniziale di protone e neutroni – i
mattoni della materia ordinaria – ben precisa. Questa quantità, prevista
dal modello della nucleosintesi, è certamente 10 volte superiore a
quella che osserviamo oggi sotto forma di stelle (il resto essendo
essenzialmente sotto forma di gas caldi tra le galassie), ma resta
comunque molto inferiore alla quantità totale di materia che si suppone
sia presente nell'universo. «Possiamo solo immaginare che la materia
ordinaria possa rappresentare più del 4 – 5 % del totale» ammette
Gabriel Chardin al centro di studi nucleari di Saclay (CEA).

E il resto? «Ci sono
differenti ipotesi, che d'altronde non sono forzatamente compatibili tra
di loro» precisa Chardin. Delle ipotesi che fanno intervenire una
materia più "esotica", dal comportamento diverso da quella che ci
circonda e che, in fondo, conviene assai ai cosmologi. Come spiegare,
altrimenti, che a partire da una zuppa supposta omogenea (quella
generata dal Big Bang), le galassie sia sono potute formare in “appena”
qualche miliardo di anni? Risposta: questa materia, insensibile
all'irraggiamento elettromagnetico, avrebbe potuto cominciare a fare dei
"grumi" ben prima della materia classica.

Secondo le nuove teorie
la massa mancante avrebbe dovuto quindi comporsi da particelle altamente
“sfuggevoli”, ma quali? Il neutrino, particella neutra che interagisce
molto debolmente con la materia ordinaria fu il grande outsider degli
anni 1980 e 1990. «Aveva un grande vantaggio sugli altri candidati:
sapevamo che esisteva - racconta Alain Bouquet -. Era dunque assai
naturale cominciare da lui, piuttosto che inventare una nuova
particella». Certo, si supponeva che la sua massa fosse assai piccola,
ma nonostante questo con lo statuto di particella più abbondante
nell’universo avrebbe potuto avere un gran peso nella bilancia cosmica.
«Con delle masse ragionevoli, che non entravano in contraddizione con
nulla di conosciuto all'ora, il neutrino poteva avere degli effetti
cosmologici molto importanti». Purtroppo, l'esperienza SuperKamiokande,
nel 1998, ha scoraggiato anche i più ottimisti: con appena qualche
elettron-volt, ossia qualche millesimo della massa di un elettrone, il
neutrino non poteva certo essere all'altezza del gravoso compito che gli
si voleva attribuire: era così leggero da poter rappresentare al limite
il 20% della massa mancante dell'universo.
Avendo esaurito le particelle conosciute, oggi ci si rivolge alle
particelle più teoriche: monopolio magnetico, anello di corde cosmiche.
O ancora axioni, oggetti molto ipotetici che permetterebbero, nella
fretta, di spiegare perché la materia ha avuto la meglio
sull'antimateria nei primi istanti dell'universo.

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Un universo di Wimps

 

 

La star del momento si
chiama Wimp (Weakly Interactive Massive Particle), ovvero particelle
dotate di massa ma poco interagenti con l’altra materia. Questi Wimp
sono nati nell'ambito delle teorie supersimmetriche, indispensabili non
appena si cerca di unificare l'insieme delle interazioni
(elettromagnetismo, forza nucleare debole, forte e gravitazione). «I
modelli di supersimmetria prevedono tra l'altro l'esistenza d'un
corpuscolo “massiccio”, stabile e che chiamiamo neutralino. Non avendolo
mai osservato, non sappiamo ancora bene quale sia la massa» spiega Alain
Bouquet.

Se questi Wimps – o
neutralini – riempiono l'universo, una quantità importante deve
attraversare la Terra in ogni momento. Dovrebbe essere quindi possibile
rilevare la loro presenza., se non fosse che la stessa teoria che li ha
“creati” prevede anche una capacità di interazione quasi nulla con la
materia: probabilemente 10000 volte minore a quella del neutrino, che
già di suo ha una solida reputazione di particella poco “socievole”.

Nonostante la sfida sia
notevole, numerose squadra nel mondo l'hanno rilevata. Un buon esempio è
l’esperimento francese Edelweiss (Expérience pour Detecter Les Wimps En
Site Souterrain) di cui Gabriel Chardin è il responsabile scientifico.

Il principio di
Edelweiss, iniziato nel 1992 e che oggi mobilita una quarantina di
scienziati, è abbastanza semplice e consiste nel raffreddare al limite
dello zero assoluto (11 milliKelvin) qualche centinaia di grammi di un
cristallo di Germanium. Una collisione di un Wimps con un nucleo del
cristallo produrrà un infimo riscaldamento (di un milionesimo di grado,
o anche meno) in grado di essere misurato. Se la teoria conta poche
righe, la pratica richiede invece anni di test e dei mezzi
considerevoli. La difficoltà consiste nell'eliminare le particelle
parassite che attraversano il detettore e che disturbano il debole
segnale.

A causa dei raggi
cosmici che bombardano l'atmosfera, la squadra francese ha dovuto
isolarsi sotto 1800 m di roccia, nel laboratorio sotterraneo di Modane,
nel tunnel del Fréjus, alla frontiera franco-italiana. «Per proteggere
il detettore dalla radioattività esterna usiamo del piombo - precisa
Chardin -. Ma il piombo contiene lui stesso un po' di piombo-210, che è
radioattivo». Uno rompicapo risolto recuperando il piombo da antiche
galere romane: i due millenni passati sotto il mare l'hanno “depurato”
della sua radioattività. «Attualmente rigettiamo più del 99,9% della
radioattività standard (beta e gamma) - prosegue Chardin -, tuttavia
rimangono i neutroni, molto fastidiosi a causa della loro carica neutra
che li porta ad interagire grosso modo come dei Wimps». Durante le
osservazioni è dunque indispensabile isolare, nelle poche interazioni
ottenute, quelle che non possono essere attribuite a un neutrone
parassita.

Un detettore di
germanio - 320 grammi - con rigetto del "rumore di fondo" pari
al 99,9% è stato installato nel laboratorio di Modane (tunnel
del Fréjus) nel corso del progetto Edelweiss. (ingrandisci)
(Commissariat
à l'energie atomique / DAPNIA
)

Chardin non ha ancora
potuto annunciare il risultato tanto atteso, ma continua a crederci: i
valori di interazione che può detettare non corrispondono ancora con
quelli attesi per un Wimp. «L’attuale capacità degli strumenti è ancora
molto rozza». E la sensibilità da raggiungere si situa ancora 100 volte
più in là delle attuali capacità. «Questo rappresenta appena qualche
interazione per anno per tonnellata di germanio».

L’impianto attuale sarà
smontato nell'autunno 2003 e rimpiazzato, poco a poco, con un centinaio
di nuovi detettori (contro 3 attuali), raffredati da un criostato 50
volte più grande. «Con un po' di fortuna, dovremmo finalmente vedere
qualcosa» commenta Chardin. Una scoperta che sarebbe probabilmente
coronata col premio Nobel.

Avremo allora
l'ingrediente essenziale del cosmo? No, visto che un nuovo attore è
entrato in scena. «Da due anni si ipotizza che nell'universo non vi sia
solo materia visibile e materia oscura, ma anche una grande quantità di
“energia nera”, totalmente sconosciuta, e che avrebbe come effetto di
accelerare l'espansione dell'universo - avverte Bouquet -. Questa
energia, di cui ignoriamo tutto, rappresenterebbe il 70% dell'energia
totale dell'universo (la materia propriamente detta non rappresenta che
il 30%, di cui appena il 5% è conosciuta). Ancora prima di essere
risolto, l'enigma della materia oscura cede dunque il posto a un nuovo
mistero, mistero dalle proporzioni ancora più vertiginose.

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Links

 

 
Per chi è interessato ad approfondire il tema, ecco alcuni indirizzi
da cui iniziare la propria ricerca.

Materia
oscura


Dark Matter
- Professor Martin White

The Nature of the Dark Matter
- Kim Griest
What Is The Most Likely Nature Of Dark Matter?

Progetto
Macho

The Macho Project

First Image and Spectrum of a Dark Matter Object
- ESO

Progetto
Edelweiss

Un
détecteur pour les Wimps


Edelweiss : traquer les Wimps pour retrouver la piste de la matière noire

- CEA / CNRS

Edelweiss : de nouvelles indications sur la nature de la matière noire

- CEA

www.theblueplanet.ch/infocenter/lente/materia_oscura.htm - 44k -

 

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