Chi mi sta parlando è la parte più profonda di me che desidera comunicarmi un sunto della mia vita. Marinella ringrazia.
Marinella, comprendo tutte le tue paure.
Ti sei immersa nella terza dimensione in modo totale, senza riserve, assimilando ogni sua regola con la convinzione che fossero tutte giuste, tutte immutabili. Sei sempre stata una brava bambina, docile e attenta, senza mai mettere in dubbio le parole dei grandi. Ti fidavi, ciecamente. Non c'era in te il seme della ribellione, non ancora. Ma c'era qualcos'altro, qualcosa che non riuscivi a definire: una sensazione profonda, un'inquietudine che a volte ti sfiorava come un vento leggero, per poi scomparire senza lasciarti il tempo di comprenderla.
La tua infanzia è stata la culla della struttura che per anni ti ha tenuta sospesa, imprigionata tra sogni e doveri. Amavi la tua famiglia con tutto il cuore, tanto da piegare i tuoi desideri pur di non darle dispiacere. Eppure, dentro di te, c'era un mondo diverso, un universo di possibilità che solo la tua fantasia poteva esplorare. Era la tua via di fuga, la tua salvezza segreta. Sognavi un futuro luminoso, un amore semplice, una casa piena di calore e di voci felici.
Ma la realtà ha bussato alla porta troppo presto. A tredici anni hai dovuto lasciare l’infanzia sulle soglie di un locale buio, sotterraneo, impregnato di odore di colla. Non era il mondo che avevi immaginato. Il tuo compito era incollare etichette sulle scatole, da sola, nel silenzio spezzato solo dal rumore monotono del lavoro. Non c'era nessuna finestra, nessun contatto umano, nessun sorriso da scambiare. Il tuo respiro si faceva corto, oppresso dall’aria densa. Ogni giorno, varcando quella porta, ti sembrava di entrare in un luogo senza tempo, senza speranza.
Poi, un giorno, qualcosa è cambiato. Tuo padre, il tuo caro papà, ha notato il velo di tristezza che si era posato sui tuoi occhi. Ti ha osservata con attenzione, e nel silenzio delle vostre cene ha colto ciò che non riuscivi a dire. E quando ha deciso di portarti via, di liberarti da quel posto soffocante, hai sentito il cuore esplodere di gratitudine. Ricordi quanto l’hai amato in quell’istante? La padrona, quella donna severa che chiamavi così, lo ha accusato di essere un "padre di stoppa", come se fosse colpa sua se non accettava di vederti sfiorire in quel seminterrato. Ma lui non si è lasciato intimidire. Ti ha difesa. Ti ha salvata. E in quel momento hai capito che l’amore vero è anche questo: riconoscere il dolore di chi si ama e avere il coraggio di strapparlo via.
Poi è arrivata un’altra opportunità. Un negozio di alimentari ad Acquate cercava una ragazza per le consegne a domicilio. E oltre a quello, potevi imparare a stare dietro al bancone del panificio. Quel posto era così diverso, così pieno di vita. Le persone entravano e uscivano, i profumi di pane caldo e spezie ti avvolgevano, le voci riempivano l’aria. Non importava se percorrevi chilometri sotto la pioggia e al freddo, non importava se i piedi ti dolevano: tu cantavi a squarciagola, felice. I clienti del negozio ti avevano soprannominata la piccola portatrice di pane, la bambina che porta il sole. E forse, in fondo, era proprio questo che volevi essere: un raggio di luce per chi incontravi sulla tua strada.
Era il tuo dono, anche se ancora non lo sapevi. Amavi essere utile, servire gli altri. Non ti pesava il fatto che non venissi retribuita, perché all’epoca si usava così. Ricevevi solo una piccola mancia settimanale, ma non ti importava. Dentro di te c’era un solo desiderio: vedere la gente sorridere. Già allora sentivi, in un modo che non sapevi spiegare, che eri parte di qualcosa di più grande.
Ma poi è arrivato quel giorno. Quel giorno che ha cambiato tutto.
Tua madre, con una voce tesa e bassa, ha detto a tuo padre che il suo cuore era gravissimo. Il dottor Addivinola le aveva detto che avrebbe dovuto vivere "come dentro una bara di vetro". Sei rimasta immobile, il respiro mozzato, il cuore che per un attimo ha smesso di battere. Il terrore si è insinuato dentro di te come un’ombra silenziosa. Da quel momento, nulla è più stato lo stesso.
L’ansia è diventata il tuo pane quotidiano. Quella paura si è fatta carne, compagna silenziosa di ogni tuo giorno. Eri una bambina innamorata della sua mamma, e da quel momento hai iniziato a scrutarla in ogni istante, con occhi attenti, vigili, come se ogni suo respiro potesse essere l’ultimo. Non ridevi più come prima, non correvi più con la stessa spensieratezza. Qualcosa si era spezzato.
Ma la fede, quella sì, non ti ha mai abbandonata.
All’alba, prima di andare al lavoro, correvi alla piccola chiesa ai piedi del Resegone. Ti inginocchiavi davanti alla statua di Gesù e stringevi le sue mani nelle tue. Sentivi la freddezza del marmo, ma nel cuore speravi che quelle mani fossero calde, vive, pronte a sorreggerti. Era il tuo amico del cuore. Gli raccontavi tutto, le tue paure, il tuo dolore, la speranza che la tua mamma potesse guarire. Pregavi, pregavi con tutta te stessa. E speravi.
Speravi che qualcuno, lassù, ascoltasse il tuo cuore di bambina.
(Continua...)
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