Il CERVELLO COME OLOGRAMMA.. ..(.Interessantissimo per espandere la coscienza..).
Il cervello come ologramma
Non è che il mondo delle apparenze sia errato; non è
che non esistano oggetti là fuori, a un certo livello
della realtà. È che se lo attraversate e osservate
l'universo con un sistema olografico, giungete a una
visione differente, una diversa realtà. E quest'altra
realtà può chiarire cose che sono finora rimaste
scientificamente inesplicabili: fenomeni paranormali,
sincronicità, la coincidenza apparentemente
significativa degli eventi.
Karl Pribram in un'intervista su Psychology Today
L'enigma che dapprima spinse Pribram sulla strada verso la formulazione del suo modello olografico fu l'interrogativo su come e dove i ricordi fossero conservati nel cervello. Agli inizi degli anni Quaranta, quando in un primo tempo si interessò a questo mistero, si credeva che i ricordi fossero localizzati nel cervello. Ciascun ricordo che una persona aveva, come il ricordo dell'ultima volta che avevate visto vostra nonna, o quello della fragranza di una gardenia che odoraste all'età di sedici anni, si riteneva avesse una locazione specifica in qualche punto nelle cellule cerebrali. Queste tracce di memoria erano chiamate engrammi, e nonostante nessuno sapesse da cosa un engramma fosse costituito - se fosse un neurone o forse perfino uno speciale tipo di molecola - la maggior parte degli scienziati erano sicuri che fosse solo una questione di tempo prima che uno di essi venisse identificato.
[...] Una delle cose che rendono possibile l'olografia è un fenomeno conosciuto come interferenza. L'interferenza è il disegno intersecato che si verifica quando due o più onde, come le onde dell'acqua, s'increspano l'una attraverso l'altra. Ad esempio, se gettate un sasso in uno stagno, esso produrrà una serie di onde concentriche che si espandono verso l'esterno. Se gettate due sassi in uno stagno, avrete due serie di onde che si espandono e passano una attraverso l'altra. La complessa disposizione di creste e avvallamenti che risulta da queste collisioni è nota come schema di interferenza.
Ogni fenomeno simile a quello delle onde può creare uno schema di interferenza, inclusa la luce e le onde radio. Poiché la luce laser è un tipo di luce estremamente pura e coerente, è in particolare modo adatta a creare schemi di interferenza. Essa fornisce, in essenza, il sasso perfetto e il perfetto stagno. Di conseguenza, gli ologrammi, come li conosciamo oggi, erano impossibili prima dell'invenzione del laser.
Un ologramma è prodotto quando un'unica luce laser viene divisa in due raggi separati. Il primo raggio viene fatto rimbalzare dall'oggetto per essere fotografato. Poi il secondo raggio viene lasciato collidere con la luce riflessa del primo. Quando questo accade essi creano uno schema di interferenza che viene poi registrato su una porzione di pellicola (vedi figura 1).
A occhio nudo l'immagine sulla pellicola non somiglia affatto a quella dell'oggetto fotografato. In effetti, è anche un po' simile ai cerchi concentrici che si formano quando una manciata di sassi viene buttata in uno stagno (vedi figura 2). Ma appena un altro raggio laser (o in alcuni casi solo una sorgente di luce intensa) viene proiettato attraverso la pellicola, riappare un'immagine tridimensionale dell'oggetto originale. La tridimensionalità di questo tipo di immagini è spesso fantasticamente convincente. Potete davvero girare intorno a una proiezione olografica e osservarla da diverse angolazioni come fareste con un vero oggetto. Tuttavia, se stendete la mano per tentare di toccarla, essa vi passerà attraverso e scoprirete che in realtà in quello spazio non vi è nulla (vedi figura 3).
La tridimensionalità non è il solo aspetto straordinario degli ologrammi. Se una porzione di pellicola olografica contenente l'immagine di una mela viene tagliata in due e viene poi illuminata da un laser, si troverà che ciascuna metà conterrà ancora l'intera immagine della mela! Anche se le metà vengono divise nuovamente e poi ancora, un'intera mela può ugualmente essere ricostruita da ogni piccola porzione di pellicola (anche se le immagini diverranno più offuscate col rimpicciolirsi delle porzioni). A differenza delle normali fotografie, ogni piccolo frammento di un pezzo di pellicola olografica contiene la completa informazione registrata nell'intero. (vedi figura 4).3
Esattamente questa era la caratteristica che eccitò tanto Pribram, poiché essa offriva finalmente un modo per comprendere come i ricordi potessero essere distribuiti piuttosto che localizzati nel cervello. Se era possibile per ogni porzione di pellicola olografica contenere tutta l'informazione necessaria per creare un'immagine completa, sembrò allora ugualmente possibile che ogni parte del cervello contenesse tutta l'informazione necessaria per richiamare un ricordo completo.
Il linguaggio matematico dell'ologramma
Mentre le teorie che resero possibile lo sviluppo dell'ologramma furono dapprima formulate nel 1947 da Dennis Gabor (che vinse in seguito un Premio Nobel per il suo lavoro), durante gli ultimi anni Sessanta e i primi anni Settanta la teoria di Pribram ricevette sostegno sperimentale ancor più persuasivo. Quando inizialmente Gabor concepì l'idea dell'olografia, non pensava ai laser. Il suo scopo era di migliorare il microscopio elettronico, uno strumento allora primitivo e imperfetto. Il suo approccio era matematico e la matematica da lui usata era un tipo di calcolo inventato da un francese del diciottesimo secolo di nome Jean B. J. Fourier.
Parlando in modo approssimativo, ciò che Fourier aveva sviluppato era un sistema matematico per convertire qualsiasi schema, indifferentemente dalla sua complessità, in un linguaggio di onde semplici. Egli dimostrò inoltre come queste forme d'onda potevano essere riportate allo schema originale. In altre parole, proprio come una telecamera trasforma un'immagine in frequenze elettromagnetiche e un apparecchio televisivo le ritrasforma nell'immagine originale, Fourier aveva dimostrato in quale modo un processo simile potesse essere portato a termine matematicamente. Le equazioni da lui sviluppate per trasformare le immagini in forme d'onda e di nuovo all'originale sono note come trasformate di Fourier.
Le trasformate di Fourier permisero a Gabor di trasformare la fotografia di un oggetto nella forma confusa di schemi di interferenza su una porzione di pellicola olografica. Gli fornirono inoltre la possibilità di escogitare un modo per ritrasformare quegli schemi di interferenza in un'immagine dell'oggetto originale. In effetti, la speciale completezza in ogni parte di un ologramma è una delle conseguenze che si verificano quando un'immagine o uno schema vengono tradotti nel linguaggio di forme d'onda di Fourier.
Per tutto il periodo dagli ultimi anni Sessanta e i primi anni Settanta vari ricercatori contattarono Pribram comunicandogli di aver portato allo scoperto prove che il sistema visivo lavorava come una sorta di analizzatore di frequenza. Essendo la frequenza una misura del numero di oscillazioni al secondo alle quali un'onda è soggetta, questo suggerì in modo determinante che il cervello potesse funzionare alla stessa maniera di un ologramma.
Ma fu che nel 1979 i neurofisiologi di Berkeley, Russel e Karen De Valois, fecero la scoperta che sistemò la questione. La ricerca durante gli anni Sessanta aveva mostrato che ogni cellula cerebrale nella corteccia visiva è conformata per rispondere a un diverso schema - alcune cellule cerebrali vengono attivate quando gli occhi vedono una linea orizzontale, altre quando gli occhi vedono una linea verticale, e così via. Di conseguenza, molti ricercatori giunsero alla conclusione che il cervello ricevesse informazione da queste cellule altamente specializzate chiamate rivelatori di caratteristiche, e che le facesse combaciare in qualche modo per fornirci le nostre percezioni visive del mondo.
Nonostante la popolarità di questa opinione, i DeValois sentivano che questa era soltanto una verità parziale. Per verificare la propria supposizione, usarono l'equazione di Fourier per convertire motivi scozzesi e a scacchi in semplici forme d'onda. Poi fecero una prova per vedere come le cellule cerebrali nella corteccia visiva rispondevano a queste nuove immagini di forme d'onda. Ciò che scoprirono fu che le cellule cerebrali rispondevano non agli schemi originali, ma alle conversioni di Fourier degli schemi. Se ne poteva trarre una sola conclusione. Il cervello usava la matematica di Fourier - la stessa matematica impiegata dall'olografia - per convertire le immagini visuali nel linguaggio di forme d'onda di Fourier.
CAPITOLO 2
IL COSMO COME OLOGRAMMA
[...]
È un fascino facile da comprendere. Il nuovo strano terreno che i fisici avevano trovato nascosto nel cuore dell'atomo conteneva cose più meravigliose di tutto quanto Cortés o Marco Polo avessero mai incontrato. Ciò che rese questo mondo tanto interessante era che ogni cosa a suo riguardo sembrava essere così divergente dal senso comune. Appariva più come un territorio governato dal sortilegio piuttosto che un'estensione del mondo naturale, un reame come quello di Alice nel Paese delle Meraviglie in cui forze disorientanti erano la norma e la logica era stata capovolta.
Una scoperta sensazionale fatta dai fisici quantistici era che, rompendo la materia in porzioni sempre più piccole, si giunge infine a un punto in cui quelle porzioni - elettroni, protoni e così via - non posseggono più le caratteristiche degli oggetti. Ad esempio, la maggior parte di noi tende a pensare a un elettrone come a una minuscola sfera o un pallino di piombo che si muove velocemente, ma nulla potrebbe essere più distante dalla verità. Nonostante un elettrone possa a volte comportarsi come fosse una piccola particella compatta, i fisici hanno trovato che non possiede letteralmente alcuna dimensione. Questo è difficile da immaginare per la maggior parte di noi, poiché ogni cosa al nostro livello di esistenza possiede dimensione. Eppure, se provate a misurare l'ampiezza di un elettrone, scoprirete che è un compito impossibile. Un elettrone, semplicemente, non è un oggetto secondo la nostra definizione.
Un'altra scoperta fatta dai fisici è che un elettrone può manifestarsi sia come una particella che come un'onda. Se sparate un elettrone contro lo schermo di un televisore spento, quando esso colpisce le sostanze chimiche fosforescenti che rivestono lo schermo, apparirà un minuscolo punto luminoso. Il singolo punto di impatto lasciato sullo schermo dall'elettrone rivela chiaramente la sua natura simile a quella di una particella.
Ma questa non è l'unica forma che l'elettrone può assumere. Esso può anche dissolversi in una nube indistinta di energia e comportarsi come se fosse un'onda che si diffonde nello spazio. Quando un elettrone si manifesta come un'onda, è in grado di compiere cose impossibili per qualsiasi particella. Se viene scagliato su una barriera nella quale sono stati fatti due tagli, può attraversarli entrambi simultaneamente. Quando elettroni simili a onde si scontrano l'uno con l'altro, creano perfino configurazioni di interferenza. L'elettrone, come essere capace di mutare forma nato dal folclore, può manifestarsi sia come particella che come onda.
Questa capacità camaleontica è comune a tutte le particelle subatomiche. È anche comune a tutto ciò che una volta si pensava manifestarsi esclusivamente come onde. La luce, i raggi gamma, le onde radio, i raggi X - possono tutti mutare da onde a particelle e viceversa. Oggi i fisici credono che i fenomeni subatomici non dovrebbero essere classificati unicamente come onde o particelle, ma come una singola categoria di cose che sono, in qualche modo, sempre entrambi. Questi qualcosa sono chiamati quanta, e i fisici ritengono che siano la sostanza di base della quale l'intero universo è costituito.
Forse, la cosa più stupefacente fra tutte è che esistono prove schiaccianti del fatto che l'unico momento in cui i quanta si manifestano come particelle è quando li guardiamo. Ad esempio, scoperte fatte per mezzo di esperimenti suggeriscono che quando non lo si sta guardando, un elettrone sia sempre un'onda. I fisici sono in grado di trarre questa conclusione poiché hanno escogitato ingegnose strategie per dedurre il comportamento di un elettrone quando non è osservato (bisogna notare che questa è soltanto un'interpretazione delle prove e non è la conclusione di tutti i fisici; come vedremo, Bohm stesso dà un'interpretazione differente).
Appena Bohm iniziò a riflettere sull'ologramma, vide che anch' esso forniva un nuovo modo di comprendere l'ordine. Come la goccia d'inchiostro nel suo stato di dispersione, anche gli schemi d'interferenza registrati su una porzione di pellicola olografica sembravano disordinati a occhio nudo. Entrambi possiedono ordini che sono nascosti o celati in modo molto simile a quello in cui un ordine in un plasma è celato nel comportamento apparentemente casuale di ciascuno dei suoi elettroni. Ma questa non era l'unica intuizione fornita dall'ologramma.
Più Bohm ci pensava, più si convinceva che l'universo effettivamente impiegava princìpi olografici nelle sue operazioni, era esso stesso una sorta di gigantesco ologramma fluttuante, e questa comprensione gli permise di cristallizzare tutte le sue varie intuizioni in un insieme illimitato e coesivo. Pubblicò i primi saggi sulla sua visione olografica dell'universo nei primi anni Settanta, e nel 1980 presentò un completo distillato dei suoi pensieri in un libro intitolato Wholeness and the Implicate arder. In esso fece più che semplicemente raccogliere la sua miriade di idee. Egli le trasformò in un nuovo modo di guardare la realtà che era mozzafiato quanto radicale.
Ordini celati e realtà svelate
Una delle asserzioni più sensazionali di Bohm è che la realtà tangibile della nostra vita quotidiana è in effetti una sorta di illusione, come un'immagine olografica. Sotto di essa vi è un ordine di esistenza più profondo, un livello di realtà vasto e più fondamentale, che dà origine a tutti gli oggetti e le apparenze del nostro mondo fisico, in modo molto simile a quello in cui una porzione di pellicola olografica dà origine a un ologramma. Bohm definisce questo livello di realtà più profondo ordine implicito (che significa «celato»), e si riferisce al nostro livello di esistenza come all'ordine esplicito o svelato.
Egli usa questi termini poiché vede la manifestazione di tutte le forme nell'universo come il risultato di un infinito celarsi e svelarsi fra questi due ordini. Ad esempio, Bohm ritiene che un elettrone non sia una cosa, bensì una totalità o un insieme celato attraverso l'intero spazio. Quando uno strumento percepisce la presenza di un singolo elettrone, è semplicemente perché un aspetto dell'insieme dell'elettrone si è rivelato, simile al modo in cui una goccia d'inchiostro si distingue dalla glicerina, in quella particolare collocazione. Quando un elettrone sembra muoversi, ciò è dovuto a una serie continua di questo celarsi e svelarsi.
In altre parole, gli elettroni e tutte le altre particelle non sono più sostanziali o permanenti della forma che un geyser d'acqua prende sgorgando da una fontana. Essi sono sostenuti da un influsso costante proveniente dall'ordine implicito e quando una particella sembra essere distrutta, non è perduta. È stata solo celata nuovamente nell'ordine più profondo dal quale era derivata. Una porzione di pellicola olografica e l'immagine da essa generata sono anch'essi un esempio di ordine implicito ed esplicito. La pellicola è un ordine implicito, poiché l'immagine codificata nei suoi schemi di interferenza è una totalità nascosta, celata attraverso tutto l'insieme. L'ologramma proiettato dalla pellicola è un ordine esplicito, poiché rappresenta la versione svelata e percettibile dell'immagine.
Lo scambio costante e scorrevole fra i due ordini spiega in che modo le particelle, come l'elettrone nell'atomo di positronio, possano mutare forma da un tipo di molecola a un altro. Simili mutamenti possono essere osservati quando una particella, diciamo un elettrone, si cela nuovamente nell'ordine implicito, mentre un altro, un fotone, si svela e prende il suo posto. Esso spiega anche come un quanto possa manifestarsi sia come particella che come onda. Secondo Bohm, entrambi gli aspetti sono sempre celati nell'insieme di un quanto, ma il modo in cui un osservatore interagisce con l'insieme determina quale aspetto si riveli e quale resti nascosto. Come tale, il ruolo giocato da un osservatore nel determinare la forma presa da un quanto può essere non più misterioso di come il modo in cui un gioielliere manipola una gemma determini quali delle sue sfaccettature diverranno visibili e quali no. Poiché il termine ologramma si riferisce solitamente a un'immagine statica che non trasmette la dinamica e la natura sempre attiva dell'incalcolabile celarsi e svelarsi che momento per momento crea il nostro universo, Bohm preferisce descrivere l'universo non come un ologramma bensì come un «olomovimento».
L'esistenza di un ordine più profondo e organizzato olograficamente spiega inoltre perché la realtà diventi nonlocale al livello subquantistico. Come si è visto, quando qualcosa è organizzato olograficamente, ogni parvenza di localizzazione crolla. Dire che ogni parte di una porzione di pellicola olografica contiene la totalità dell'informazione posseduta dall'intero è in effetti soltanto un altro modo di dire che l'informazione è distribuita non localmente. Quindi, se l'universo è organizzato secondo princìpi olografici, ci si aspetterebbe che anch'esso possegga proprietà nonlocali.
Analogamente, egli crede che dividere l'universo in cose viventi e non viventi sia altrettanto privo di significato. La materia animata e quella inanimata sono inseparabilmente intrecciate, ed anche la vita è celata in ogni parte dell'intero universo. Perfino una roccia è viva in qualche modo, dice Bohm, poiché la vita e l'intelligenza sono presenti non solo in tutta la materia, ma nell'«energia», nello «spazio», nel «tempo», nella «struttura dell'intero universo» e anche in tutto ciò che sottraiamo all'olomovimento e consideriamo erroneamente come cosa separata.
L'idea che la coscienza e la vita (e invero tutte le cose) siano insiemi celati in ogni parte dell'universo ha un rovescio ugualmente strabiliante. Proprio come ciascuna porzione di un ologramma contiene l'immagine dell'intero, ogni porzione dell'universo cela l'intero. Questo significa che, se sapessimo come accedervi, potremmo trovare la galassia di Andromeda nell'unghia del pollice della nostra mano sinistra. Potremmo anche trovarvi il primo incontro di Cesare e Cleopatra, perché in linea di massima l'intero passato e le implicazioni per l'intero futuro sono anch'esse celate in ciascuna piccola parte di spazio e tempo. Ogni cellula nel nostro corpo cela l'intero cosmo. Così come ogni foglia, ogni goccia di pioggia e ogni granellino di polvere; il che porta un nuovo significato alla famosa poesia di William Blake:
Vedere un mondo in un granello di sabbia
E un paradiso in un fiore selvatico,
Tenere l'infinito nel palmo della tua mano
E l'eternità in un'ora.
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Pagina 60
Le scoperte di Aspect non provano che il modello dell'universo di Bohm sia corretto, ma gli forniscono un sostegno eccezionale. In realtà, come citato, Bohm non crede che nessuna teoria sia vera in senso assoluto, inclusa la sua. Sono tutte soltanto approssimazioni alla verità, mappe limitate che usiamo per fare il diagramma di un territorio che è sia infinito che indivisibile. Ciò non significa che egli ritenga la sua teoria non verificabile. Egli confida che in futuro verranno sviluppate tecniche che permetteranno di verificare le sue idee (quando Bohm viene criticato su questo argomento fa notare che vi sono varie teorie nella fisica, come la «teoria superstring», che non saranno probabilmente verificabili per parecchi decenni).
La reazione della comunità dei fisici
La maggior parte dei fisici è scettica riguardo alle idee di Bohm. Ad esempio, Lee Smolin, fisico presso Yale, non considera la teoria di Bohm «molto convincente in senso fisico». Ciò nonostante l'intelligenza di Bohm è rispettata quasi universalmente. L'opinione di Abner Shimony, fisico presso la Boston University, è un tipico esempio di questo punto di vista: «temo proprio di non comprendere questa teoria. È certamente una metafora e la questione è quanto letteralmente interpretare la metafora. Tuttavia, egli ha preso in seria considerazione il soggetto e ritengo che abbia offerto un grande servizio portando queste questioni in primo piano nella ricerca fisica, anziché nasconderle. È stato un uomo coraggioso, audace e pieno di immaginazione».
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Incanalare i poteri del cervello olografìco
Nel corso di questo capitolo, due messaggi appaiono forti e chiari. Secondo il modello olografico, la mente/corpo non è fondamentalmente in grado di distinguere la differenza fra gli ologrammi neurali che il cervello usa per sperimentare la realtà e quelli che evoca quando immagina la realtà. Entrambi hanno uno straordinario effetto sull'organismo umano, un effetto talmente potente da modulare il sistema immunitario, duplicare e/o annientare gli effetti di potenti droghe, guarire ferite con incredibile rapidità, sciogliere tumori, interferire nel nostro programma genetico e rifoggiare il nostro corpo in modi che quasi sfidano ogni credibilità. Questo è allora il primo messaggio: ciascuno di noi possiede la capacità, almeno a un certo livello, di influenzare la propria salute e controllare la propria forma fisica in maniera del tutto strabiliante. Siamo tutti potenziali taumaturghi, yogi latenti, ed è chiaro dalle prove presentate nelle pagine precedenti che ci converrebbe, sia come individui che come specie, devolvere uno sforzo maggiore nell'esplorare e incanalare questi talenti.
Il secondo messaggio è che gli elementi che sono impegnati a formare questi ologrammi neurali sono molti e sottili. Essi includono le immagini sulle quali meditiamo, le nostre speranze e le nostre paure, le attitudini dei nostri medici, i nostri pregiudizi inconsci, le nostre credenze individuali e culturali e la nostra fede sia nelle cose spirituali che in quelle tecnologiche. Più che semplici fatti, questi sono indizi importanti, indicatori che puntano verso le cose delle quali dobbiamo diventare consapevoli e sulle quali dobbiamo acquisire padronanza, se vogliamo imparare a liberare e manipolare questi talenti. Esistono, senza dubbio, altri fattori coinvolti, altre influenze che foggiano e circoscrivono queste capacità, poiché una cosa dovrebbe essere ovvia a questo punto: in un universo olografico - un universo nel quale un leggero cambiamento di attitudine può stabilire la differenza fra la vita e la morte, nel quale le cose sono così sottilmente interconnesse che un sogno può provocare l'inspiegabile apparizione di uno scarabeo, e i fattori responsabili di una malattia possono anche imprimere una certa configurazione nelle linee e nelle spirali della mano - abbiamo ragione di sospettare che ciascun effetto abbia molteplici cause. Ciascun collegamento è un punto di partenza di un'altra dozzina di essi, poiché, nelle parole di Walt Whitman, «una vasta similitudine congiunge tutto».
TecaLibri: Michael Talbot: Tutto è uno
Michael Talbot: Tutto è uno [www.tecalibri.it] ... Michael Talbot. Titolo, Tutto è uno. Sottotitolo, L'ipotesi della scienza olografica ...
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