L'ultimo dell'anno. ( C'E' POSTA PER LUCIO )

 

 

                                               L’ULTIMO DELL’ ANNO.

 

 

            Ricordo ancora i grossi fiocchi di neve e i rumori ovattati della città in quella notte di oltre 25 anni fa.

Fino a Natale era stato molto bello e caldo, poi una perturbazione e il piacere di veder nevicare; bello per quella gioia infantile che ci prende quando nevica, ma brutto per chi è in parete attaccato ad un chiodo.

            Non era ancora una moda, ma ormai risolte le più impegnative vie delle Alpi, non restava che ripeterle con una difficoltà addizionale e cioè d’inverno. Non sapevo se ricerca sublime o masochistica deformazione dell’alpinismo estremo.

            In tutti i casi nei miei pensieri, mentre rincasavo guidando lentamente e osservando i fiocchi di neve illuminati dai fari e ora anche spazzati via dal vento, c’era attaccato a quel chiodo il mio vero grande amico, al quale per di più avevo io stesso insegnato ad arrampicare e la passione per la montagna.

            Assiduo giocatore di biliardo, o meglio di boccette, lo avevo una domenica trascinato da quel tavolo verde e da quel bar della vecchia Milano di via Solferino, sulle mie amate e famigliari guglie della Grigna.

            Faceva subito tutto bene, con generosità ed innate capacità, con quella sua caratteristica sicurezza che mi ha fatto al ritorno, scendere anche se per la facile cresta Segantini, senza neppure pensare di legarci in cordata.

Ora dormire in un letto morbido di un sovra riscaldato appartamento di Milano è difficile, quando con i tuoi pensieri sei nella gelida notte stellata dell’alta montagna.

            Continuavo a pensare sempre le stesse cose; un giorno per arrivare al rifugio, un giorno di ricognizione e per iniziare ad attrezzare la via, due giorni per venire fuori dalla parete (la parte più impegnativa), un altro giorno per la cresta, molto più facile perché non più così verticale, ma ora con tutta quella neve un’incognita, e un altro giorno per ritornare; grosso modo una settimana per tirare fuori quella benedetta Via delle Guide!

            Ma erano passati otto giorni senza alcuna notizia e le mie notti sempre più tese, con quella paura che ti penetra in continuazione quasi volesse polverizzare ogni tua capacità di decisione.

            Le solite feste e i soliti bastardi programmi preconfezionati, nessuno che mi potesse accompagnare; quando nel mio inutile agitarmi decido: Domani, anche da solo sarei partito.

            Prese le decisioni, poi tutto diventa più facile; al mattino convinco un mio allievo della Righini, scuola di sci alpinismo, ad accompagnarmi; non è alpinista ma è forte e sa di montagna quanto basta.

            Non ho mai amato stare a lungo al telefono, ma ricordo ancora il vecchio telefono nero a parete, di casa mia, che ogni tanto si prende anche qualche pugno mentre espongo la situazione; il mio amico è innamorato, se viene con me chissà dove passerà l’ultimo dell’anno; non certo con la sua Bella stretta tra le braccia, e i brindisi, e la musica e i fuochi d’artificio; alla fine dice di sì e partiamo.

 

            In auto si arriva ad una nota ed elegante località sciistica, Madonna di Campiglio, belle donne in pelliccia e odore di lusso, e da qui si prosegue a piedi.

            Bruno De Tassis, capo delle guide, che aveva lui stesso con altre guide, aperto questa via, mi dà una ricetrasmittente e gli orari per i collegamenti.

Anche lui è preoccupato.

 

 

            Nel frattempo si erano aggiunti altri due alpinisti, anche loro per tentare questa prima invernale, insomma stava diventando una corsa, come una corsa alla ricerca dell’oro.

            Dopo la neve, il bel tempo; notti gelide e stellate e di giorno sole caldo e cielo blu.

Saliamo con fatica, i sacchi sono pesanti e con gli sci bisogna aprire la pista. Il cambio è regolare, procediamo in silenzio con i nostri pensieri, vogliamo arrivare prima che faccia buio.

            Ad un tratto, improvvisamente, in quel silenzio e solitudine che è la montagna d’inverno appena fuori dalla massa degli sciatori di pista, appare un ragazzo; i pantaloni stracciati, gli occhi stralunati, senza giacca a vento e bianco di neve per le continue cadute.

            Scende con fatica, anche perché ai piedi ha le racchette da neve che nella mia immaginazione pensavo le usassero solamente i cacciatori polari in cerca degli orsi bianchi.

            E’ un boy-scout, e appena si calma ci racconta che i suoi compagni sono al Rifugio con gravi congelamenti e che non sono più in grado di muoversi.

            Arrivati stanchi e bagnati, non erano riusciti ad accendere il fuoco e il termometro quella notte era sceso ad oltre - 20C. Solo lui, al mattino, con uno sforzo di volontà aveva iniziato a scendere a valle.

            Ora proseguire al paese dove stanno le belle donne in pelliccia non ci sono pericoli, che continuasse pure la discesa per chiedere soccorso alle guide, da parte nostra avremmo continuato a salire per poi chiedere soccorso via radio all’ora piena del collegamento.

            Ci facciamo spiegare, infatti, non viene da quel rifugio dove noi stiamo andando, il Brentei, ma da un altro rifugio che si raggiunge stando in quota dall’arrivo della seggiovia e su un’altra testata della valle.

            Ci separiamo, il boy-scout scende a valle e lo seguiamo a lungo con lo sguardo, i due alpinisti incontrati occasionalmente continuano per quella che era la nostra primitiva meta; con il mio amico, che pensa sempre alla sua Bella, procediamo il più velocemente possibile, verso il rifugio dove sono i boys-scout per capire che cosa era successo.

            Arriviamo con il sole non più tanto alto, entriamo; sacchi per terra ancora chiusi e completo silenzio. Di sopra nella camerata, al buio, forse qualcuno.

            Saliamo e aperte le finestre, entra la luce e tenui raggi di sole illuminano tre ragazzi stesi sulle brande che ci guardano apatici e senza parole; quasi contemporaneamente un rumore d’elicottero che sale ronzando dalla valle e che in pochi minuti è sopra di noi.

            E’ un bell’elicottero rosso con la scritta “ Trentino- Alto Adige”.

 

Benedette regioni!

 

            Si ferma 50-100 metri sotto il Rifugio dove c’è uno spiazzo, ma deve stare attaccato al rotore perché la neve è troppo alta e soffice  perché possa posarsi completamente.

Il primo carico brucia più di un’ora e all’elicottero tanto carburante perchè deve sempre rimanere appeso alle pale.

            Trascinare questi ragazzi nelle coperte che fanno da slitta, mentre affondi nella neve, ci vuole tempo; ora manca solamente l’ultimo, il più pesante che mi aveva subito colpito per le sue cosce fredde e dure come il marmo.

            Siamo ansanti e sudati, ma con quest’ultimo carico solo a metà strada: il sole è tramontato e nell’aria c’è sentore della notte in arrivo.

            Il pilota con gesti chiama il suo aiutante, che poi ci riferisce. Ancora pochi minuti d’autonomia poi dovrà partire e potrà tornare solo il giorno dopo.

  

            Il momento è critico, risalire è impossibile. Il mio amico è forte come un guerriero antico e con tutta la forza della disperazione si fa caricare in spalla questo ragazzotto ricco di grasso congelato. Ora avanza oscillando, mentre affonda nella neve, ma riesce a procedere, io non posso fare altro che incitarlo e aiutarlo a tenere l’equilibrio per non cadere.

            Ultimo carico, si chiude il portello e mentre il sudore ci gela addosso seguiamo l’elicottero che scompare nella valle.

            Il fuoco di un camino risveglia sentimenti di pace e di sicurezza anche al cittadino più incallito, forse perchè l’inconscio ha una memoria più profonda di quanto la superficialità della nostra vita ci porti a far credere. E’ un ritorno all’infanzia della storia dell’uomo, e in un rifugio d’alta quota, in pieno inverno, con temperature polari, il calore e lo scoppiettio rassicurante del fuoco appena acceso, è vivere la nostra infanzia primordiale.

            Questi ragazzi che per non aver saputo accendere un fuoco (con tanto di fiammiferi!) avevano corso il rischio di morire, avevano però portato una quantità abnorme di cibo: Vini pregiati, panettoni, salmone, lenticchie e altro ancora.

            A questo punto si decide; sarà una vera cena da ultimo dell’anno, con tovaglia, candele, bicchieri per i diversi vini, e un ottimo risotto propiziatorio di buoni propositi per l’anno che ci viene incontro.

 

            Stanchi delle fatiche della giornata, mangiato con piacere, brindiamo davanti al camino e godiamo attimi di profonda felicità.

Dico al mio amico che il racconto che farà alla sua Bella li ripagherà in larga misura del non essere stati insieme quest’ultimo dell’anno, giorno al quale vogliamo sempre dare tanta importanza.

            Dal canto mio, sempre solitario, aspetterò l’età dei ricordi per rivivere questi momenti felici, raccontandoli.

            Verrò poi a sapere che i boys-scout dopo un periodo d’ospedale sono tornati a casa loro mentre i miei amici, Leo e Alessandro, dopo vari tentativi, per il freddo troppo intenso avevano rinunciato all’impresa.

 

 Note

            La Via delle Guide sarebbe stata aperta l’anno dopo (marzo 1969) dai fratelli Rusconi, con Daniele Chiappa e Gianluigi Lanfranchi, mentre i miei amici, protagonisti di questa storia, Leo Cerruti e Alessandro Gogna, erano impegnati nell’aprire la Via dei Ragni al Gran Capucin.      

 

MAGNIFICA AVVENTURA LUCIO..

http://www.marotochi.it/immagini/sfondi/montagne%20innevate%201.jpg

MAGNIFICA AVVENTURA LUCIO.. IL TUO RACCONTO MI HA RIPORTATO NEI RICORDI TANTO AMATI .. LE MIE ADORATE MONTAGNE....{#emotions_dlg.salut}

bravissimi

Lucio,

io penso che tu e il tuo amico siete stati gli "angeli" incarnati per aiutare quei ragazzi.

Sii orgoglioso di questa avventura.

Alba

grazie

Grazie Alba,

il tuo commento mi ha dato un lampo di commozione e aiuto  (anche questa bella giornata, vado sulle belle montagne dietro casa mia) per fugare alcune tristezze.

Non ci avevo mai pensato, l'elicottero arrivato nel tardo pomeriggio, senza di noi avrebbe fatto ben poco, con la notte incombente.

Grazie ancora Alba, di questo tuo pensiero.

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